Concorso esterno nel clan
stangata per i fratelli Ragosta

Concorso esterno nel clan stangata per i fratelli Ragosta
di Leandro Del Gaudio
Sabato 6 Ottobre 2018, 09:03
4 Minuti di Lettura
Come un colpo di mannaia, che cambia le cose e crea un prima e un dopo. Lettura tutta d'un fiato, voce chiara, parole semplici, che non lasciano spazio ad incomprensioni: condannati. Sette anni dopo l'inizio delle indagini, arriva la condanna in primo grado per i fratelli Ragosta, per le loro consorti, ma anche per i loro principali collaboratori. Passa la linea dell'accusa, al termine di un processo tormentato, rimbalzato da Napoli a Roma (dove era approdato a causa del coinvolgimento di un giudice tributario, filone poi archiviato), per ritornare a Napoli, anzi a Nola. E sono i giudici del Tribunale nolano (presidente Silvana Gentile, de Maio, Capasso) a firmare condanne che vanno addirittura oltre le richieste del pm: 15 anni di reclusione per Francesco Ragosta, condannato per concorso esterno in associazione camorristica, reimpiego di denaro sporco aggravato dal fine mafioso, bancarotta; 14 anni per Fedele e Giovanni Ragosta, condannati per concorso esterno in associazione camorristica, reimpiego aggravato. Diversa è invece la valutazione per gli altri imputati, per i quali cadono le accuse di camorra, pur risultando provato l'impianto dell'accusa.
 
In sintesi, Concetta Adiletta (moglie di Francesco) viene condannata a sette anni e a settemila euro di multa (per ipotesi di reimpiego di denaro non aggravata dal fine mafioso); Anna Maria Iovino e Carmela Vanacore, mogli di Fedele e Giovanni Ragosta, condannate a sei anni di reclusione (impiego di denaro, non aggravata dal fine mafioso); quattro anni di reclusione e quattromila euro di multa invece per Ersilio Giannino; quattro anni per Giorgio Del Gado e Francesco Greco; tre anni e quattro mesi invece per Giovanni Ambrosino, Luigi Scala e Giuseppe Virzo.
E non è tutto. Il Tribunale dispone anche la confisca dei beni sequestrati anni fa al gruppo Ragosta, con il blocco di un patrimonio enorme, secondo le stime tracciate anni fa, quando vennero ordinati arresti e sequestri. Finiscono così sotto confisca alberghi a cinque stelle, come il Raito o il Monte Martino a Roma, alcune torri in zona Centro direzionale che per anni hanno ospitato uffici pubblici, ma anche aziende nel campo del siderurgico e del settore alimentare, tutte finora affidate ad amministratori giudiziari.
IL CONCORSO
Passa dunque la linea dell'accusa, vengono confermate le conclusioni investigative sul gruppo Ragosta firmate dai pm Francesco Curcio, Alessandro Milita, Gianfranco Scarfò e Ida Teresi, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, dopo le verifiche condotte dal nucleo di polizia tributaria della Finanza di Napoli. Chiara l'ipotesi investigativa di fondo: per anni, il gruppo Ragosta avrebbe reinvestito beni provenienti dalle attività criminali del clan Fabbrocino, uno dei clan storici dell'area vesuviana, uscito rafforzato negli anni Novanta dalla sconfitta militare della Nco di Cutolo. Tre i settori usati per riciclare soldi di provenienza illecita, secondo le conclusioni della Procura: il food, con l'acquisto di aziende nel dolciario; la ricezione alberghiera, con l'acquisto di alberghi di gran lusso, da Roma alla costiera, fino a Taormina: filoni che hanno poi consentito di rafforzare il proprio core business nel siderurgico, principale fonte economica di tutto il gruppo.
LA DIFESA
Una ricostruzione investigativa che per anni ha toccato livelli diversi, fino ad accendere i riflettori su presunte trame opache in sede di giustizia tributaria. Anno 2012, fu un'indagine terremoto quella che si abbatté su un pezzo di sistema giudiziario napoletano, una vicenda per altro culminata nel coinvolgimento di avvocati e magistrati impegnati in alcune commissioni. Da allora, sull'inchiesta Ragosta è nato un braccio di ferro che ha fatto registrare anche dei round a favore degli indagati. Alcuni filoni sono finiti in un nulla di fatto, mentre l'attenzione si è concentrata in questi anni sulla storia del processo nolano, sull'ipotesi più grave, quella del concorso esterno in associazione camorristica. Hanno scritto i pm nel loro capo di imputazione: «I Ragosta ricevevano i proventi delle attività criminali del clan camorristico Fabbrocino nella consapevolezza della loro origine delittuosa e stabilmente provvedevano a reinvestirli in attività illecite e lecite, per conto del sodalizio di cui erano diventati stabili partner economici, fornendo un rilevante contributo al raggiungimento delle finalità dell'ente mafioso». Una ricostruzione confermata dalla sentenza in primo grado, su cui ora le difese promettono battaglia. Difesi - tra gli altri - dai penalisti Marco Campora, Sergio Cola, Fabio Fulgeri, Mario Papa - ora gli imputati attendono le motivazioni, preparandosi a dare battaglia sul punto centrale delle inchieste: la genesi di un monopolio in area vesuviana, quello dei Ragosta, quello del ferro, del cibo e degli alberghi di lusso.
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