La fine di «Lello Bastone», un ragazzino tra i carnefici di Napoli

La fine di «Lello Bastone», un ragazzino tra i carnefici di Napoli
di Leandro Del Gaudio
Sabato 4 Novembre 2017, 10:57
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Uccisero uno dei vip della camorra napoletana, quel Raffaele Stanchi - da tutti conosciuto come Lello Bastone - che poteva permettersi entrature nel mondo del calcio e dello spettacolo. Era il cassiere degli scissionisti, l'uomo delle «mesate», degli stipendi agli affiliati, ma anche quello che possedeva il book di veline da contattare per le feste (a pagamento) per i boss della camorra di Secondigliano. E non solo: Stanchi era anche l'uomo che diede il via libera a Mario Balotelli nel suo tour per le piazze di spaccio della droga (anno 2010), oltre ad essere quello che invitò Valeria Marini in casa del padre, sempre lì in quelle palazzine popolari alle porte di Napoli.

Un vip della camorra, ucciso dagli «spartani» della «Vannella Grassi», nel corso di una esecuzione che diede inizio alla terza faida per la droga.

Era il 30 gennaio del 2012, la guerra dei «girati» di via della Vinella Grassi venne ordita contro gli Abete, colpendo Lello Stanchi, il cassiere, il vip. Assieme a lui venne trovato morto, nell'auto carbonizzata e abbandonata tra Melito e Mugnano anche il suo tuttofare Luigi Montò, in uno scenario che ieri ha fatto registrare una svolta processuale decisiva.

Otto ergastoli per tutti gli imputati, con buona pace del rito abbreviato, della ricerca di uno sconto di pena per chi non si affida al rito ordinario.

È stato il gup Eliana Franco a firmare le condanne per il carcere a vita a carico di Antonio Mennetta (noto come «el nino», «lo spartano», «l'imperatore»), di Fabio Magnetti, Luigi Aruta, Alessandro Grazioso, Edoardo Zaino, Ciro Castiello, Franceco Barone e Umberto Accurso. Doveroso, prima di approfondire la sentenza pronunciata ieri, un inciso su Accurso: condannato all'ergastolo per duplice omicidio, è stato anche rinviato a giudizio per i presunti contatti tra calcio e camorra assieme al difensore del Genoa Armando Izzo, (argomento di cui parliamo più diffusamente nelle pagine dello sport». Stesso destino per Salvatore Russo (oggi maggiorenne), arrestato su richiesta della Procura dei minori, per aver partecipato al gruppo di fuoco che fece fuori Stanchi e Montò. Aveva 17 anni, quando venne ucciso il cassiere degli Abete. Ma torniamo al processo che si è chiuso ieri. Accolte le richieste del pm anticamorra Maurizio De Marco (magistrato in forza alla Dda del procuratore aggiunto Filippo Beatrice), al termine di indagini fondate su intercettazioni telefoniche e sul narrato di alcuni collaboratori di giustizia.

Fu una sorta di processo quello istruito dalla camorra dei girati della Vannella. Stanchi e Montò furono convocati all'interno di un appartamento di Matuozzo (soggetto che verrà successivamente scannato dagli Accurso) e vennero interrogati. Poi vennero uccisi e portati in un'auto, che venne data alle fiamme per poi essere lasciata in una zona che cadeva sotto il controllo degli Amato-Pagano. Era una sorta di strategia del direttorio della Vannella Grassi, che puntava in questo modo a ricondurre l'attenzione degli Abete sugli Amato-Pagano, per rompere un'alleanza cementata negli anni della guerra al clan Di Lauro. Poi, in un secondo momento, quelli della Vannella grassi uscirono allo scoperto, ufficializzando con altri colpi efferati l'inizio della terza faida per il controllo delle piazze di spaccio.

Ma quale fu il motivo del duplice delitto? Al centro della contesa, la gestione dei proventi della droga del rione dei puffi, con una ripartizione che non era gradita agli emergenti di Mennetta che scatenarono la guerra. Ricordate le intercettazioni alla base degli arresti dei «girati»? Ce n'è una che riguarda un colloquio tra Mennetta e la madre. La donna consiglia al figlio di accontentarsi del mensile, dello stipendio fatto girare dai capi del narcotraffico, senza fare colpi di testa. Immediata la risposta di Mennetta: «Imperatore, sarò l'imperatore di Scampia».

Conosciuto ai tempi della prima faida come «el nino», espressione spagnola mutuata dall'uragano che flagellò il Centroamerica alla fine degli anni Novanta, Mennetta è sopravvissuto a tre faide in cui ha svolto un ruolo da protagonista. Killer dei Di Lauro prima, poi nel 2007 killer autonomo per conto del suo gruppo familiare della Secondigliano vecchia, fino ad imporsi come capo nel 2012, proprio a partire dal doppio delitto di Stanchi e Montò.
Assieme al suo sistema di parentele (Magnetti, Petriccione, Guarino, Accurso) ha raggiunto la leadership colpendo duro l'ala militare ed economica delle famiglie degli scissionisti, puntando proprio ai personaggi chiave.
Uno di questi era proprio Raffaele Stanchi, Lelluccio bastone. Il cassiere, il manager, il vip. Aveva un book di veline, contatti ricavati a Milano, probabilmente grazie ai buoni rapporti con Lele Mora (ovviamente estraneo a queste vicende). Migliaia di euro sul piatto, in cambio di una presenza come guest star di veline e donne dello spettacolo, con un prezzario che veniva suggerito dal bel mondo che si ritrovava in Sardegna o nei locali che contano tra Roma e Milano. Quando fu trovato il suo corpo, si disse che avesse le mani mozzate, segno della vendetta di chi non apprezzava il suo ruolo di cassiere.

Diversi invece i contatti con Izzo. Parente di uno dei soggetti legati alla Vannella Grassi, Izzo nel 2014 finì al centro di una inchiesta per calcio scommesse. Difeso dal penalista Salvatore Nugnes, ieri il terzino del Genoa è stato rinviato a giudizio ma si è sempre difeso rivendicando la propria estraneità alle accuse di combine ipotizzate dalla Procura di Napoli.

Solo parentele scomode, nessuna combine a pagamento, ha sempre spiegato Izzo, che ieri è stato rinviato a giudizio per ipotesi choc di concorso esterno in associazione camorristica e frode sportiva. Si ritroverà a giudizio a febbraio accanto a soggetti del calibro di Accurso e di Russo, a loro volta ieri condannati all'ergastolo per duplice omicidio del 2012. Incroci pericolosi, mentre cala il sipario sul doppio agguato che diede inizio alla terza faida. Niente sconti, solo ergastoli per gli imputati che, lette le motivazioni, faranno appello. Una svolta processuale che chiude i conti con i registi dello «arrevuoto» (parola intercettata) criminale che cinque anni fa produsse, tra l'altro, la morte di ragazzi colpiti per errore, nella guerra dei «girati» all'ala scissionista retta dal clan di Arcangelo Abete.