Napoli, lavoro nero invece dei corsi di italiano: il grande bluff dei centri dei accoglienza

Napoli, lavoro nero invece dei corsi di italiano: il grande bluff dei centri dei accoglienza
di Francesco Gravetti
Sabato 4 Novembre 2017, 10:38 - Ultimo agg. 10:58
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Fanno gli strilloni, portano in giro giornali recuperando un mestiere ormai perduto, ma possono anche passare il resto del giorno ad elemosinare fuori ai supermercati, intascare pochi spiccioli in cambio del trasporto della spesa dal negozio all'auto. E poi c'è chi delinque, chi ruba, chi spaccia droga. Chi lavora a cottimo nei cantieri e nelle campagne, reclutati dal caporale di turno. E c'è chi si prostituisce, alimentando un giro clandestino a esclusivo beneficio dei connazionali, trasformando i centri per migranti in luoghi di incontro con le squillo. Colpa di un sistema che non funziona come dovrebbe: quello dell'accoglienza e dell'integrazione. Progetti che stanno solo sulla carta e non vengono attuati. Oppure funzionano male. 

La Prefettura di Napoli effettua controlli, manda in giro ogni giorno due automobili a perlustrare alberghi e case dove vivono gli extracomunitari. Ma la forza dei numeri surclassa i funzionari del Governo: i migranti a Napoli e provincia sono raddoppiati nell'ultimo anno, mentre quelli della Prefettura sono rimasti gli stessi, anzi sono diminuiti considerando chi è andato in pensione. È il mondo dei migranti in provincia di Napoli, un universo di invisibili che cresce anno dopo anno, con una lieve flessione solo nell'ultimo periodo. Secondo la Prefettura sono più di 4000, stipati in un centinaio di strutture gestite da cooperative o associazioni, venti delle quali stanno a Napoli, il resto in provincia. Si chiamano richiedenti asilo: arrivano in Italia dal Senegal, dalla Nigeria, dal Mali, dalla Guonea, dal Gambia ma anche dalla Siria, dal Pakistan e dal Bangladesh. Chiedono, appunto, asilo politico: una commissione deve giudicare se hanno i requisiti per avere lo status, ma passa anche un anno prima che qualcuno li chiami. 
E intanto aspettano. Aspettano in strutture che si sono candidate ad ospitarli rispondendo ad un bando della Prefettura. Per partecipare al bando bisogna essere cooperative o associazioni che hanno una comprovata esperienza nel settore. Vanno bene anche le associazioni temporanee. Le maglie, insomma, sono abbastanza larghe. Anche perché gli sbarchi sono continui, soprattutto in estate, e c'è sempre più bisogno di strutture. Si chiamano Cas, centri di accoglienza straordinaria. I migranti vengono ospitati in alberghi che non hanno mai avuto una vocazione turistica e oggi trovano una nuova linfa vitale in questo business. Altre volte vengono alloggiati nelle case, regolarmente affittate dalle cooperative o dalle associazioni, che quando partecipano al bando devono esibire un contratto di locazione. Mentre aspettano dovrebbero partecipare a progetti di integrazione: imparare l'italiano, fare corsi di formazione professionale, fare musica e sport. Ma non sempre ciò avviene. 

Funziona così: la cooperativa che vince il bando si impegna a coinvolgere i migranti in attività sociali e culturali, oltre che in corsi di italiano. La Prefettura, periodicamente, effettua controlli per verificare che le attività siano svolte davvero. Le forze dell'ordine devono invece assicurarsi che la situazione resti tranquilla. L'Asl, invece, si occupa delle autorizzazioni sanitarie. Ma il meccanismo si inceppa. Colpa soprattutto del sovraffollamento, del fatto che ogni struttura si ritrova ad ospitare molti stranieri, arrivando al limite della capienza. Impossibile fare i corsi di musica e di italiano a tutti. E così gli immigrati restano abbandonati al loro destino rappresentato dal caporale di turno o dall'elemosina in strada. 

Ibrahim Coulibaly ha 31 anni ed è arrivato dal Mali sei anni fa: «Ho subito sulla mia pelle l'abbandono: ci chiudevano negli stanzoni e passavamo la giornata a sentire musica o giocare a carte. Anche adesso funziona così, pochi pensano al futuro di questi ragazzi e il sistema dei controlli dovrebbe migliorare». Ibrahim poi si è integrato, al punto di fondare un'associazione che si occupa proprio dei problemi dei migranti. Si chiama Mandè e si interessa in particolare del disagio psicologico che vivono queste persone, arrivate in Italia ed in Europa dopo un viaggio massacrante e lasciandosi alle spalle la guerra e la miseria. 

Grazie a Ibrahim conosciamo anche due nigeriane che dentro le strutture ci sono entrate per fare le prostitute: sesso a pagamento per gli stranieri ospiti. Non certo un servizio previsto dal bando: «Eppure accade spesso. Non sappiamo se i gestori lo sapevano o no, però il giro di prostituzione esiste», spiegano loro, che per fortuna ora hanno un lavoro ed una vita diversa. Sono state aiutate dalle associazioni di volontariato, che le hanno tirate fuori dalla strada. 

Per trovare minorenni, invece, bisogna andare a piazza Garibaldi, a Napoli, dove in un albergo alloggiano una trentina di quindicenni. Vanno a scuola e seguono altri corsi, ma la gente da quelle parti dice pure che «spesso si vedono perdere tempo, loro e anche altri adulti. Si sono aggiunti a quelli che già c'erano. Ore intere senza fare nulla». Il punto è che loro non possono essere obbligati a seguire le attività di formazione ed integrazione. Anche quando vengono effettuate, dunque, non è detto che debbano necessariamente parteciparvi. Anzi, possono anche allontanarsi dalla struttura, rimanere dove vogliono fino alle 21. Solo se non vi fanno ritorno diventa un problema per la polizia, che comincia a cercarli.
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