Arturo, il clan impose il silenzio
per salvare un rampollo della camorra

Arturo, il clan impose il silenzio per salvare un rampollo della camorra
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 30 Maggio 2018, 09:09
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Non è mancato lo zampino della camorra. Intesa come sistema di vita, come codice di comportamento, come tentacoli. Anche nel caso di Arturo, parliamo dello studente ferito in via Foria da quattro minori, c'è stata l'incursione di un clan, la mano nera di una famiglia criminale scesa in campo a protezione dei propri interessi. In sintesi, qualcuno ha provato a zittire le potenziali fonti di accusa, facendo arrivare messaggi precisi all'interno di una o più comunità dove sono stati via via affidati i presunti responsabili dell'aggressione di via Foria. È quanto emerge dalle migliaia di intercettazioni effettuate in questi mesi da parte della Procura dei minori, un'attività di ascolto incessante che ha captato la strategia del silenzio imposta in particolare ai tre minori che hanno già compiuto 14 anni e sono alle prese con accuse da brividi: tentato omicidio e tentata rapina, per aver sferrato decine di coltellate contro lo studente che lo scorso 18 dicembre faceva ritorno a casa dopo alcune commissioni.
Scenario da brividi, indagini che puntano sulla camorra del rione Sanità. Stando a quanto emerso finora, è stato registrato lo stato di paura e di soggezione vissuto da alcuni protagonisti di questa storia: zittiti dai clan, spaventati dal rischio di conseguenze gravissime, qualora fosse uscito un nome, quello di un ragazzino non ancora 14enne, a sua volta ritenuto dagli inquirenti componente del branco che ha assalito Arturo. Chiaro il ragionamento della Procura minorile: proprio nei mesi in cui la Mobile del primo dirigente Luigi Rinella era alle prese con la ricostruzione del mosaico, dall'altra parte c'era chi costruiva il muro di silenzio attorno a uno dei suoi principali protagonisti. E sono state le intercettazioni depositate in questi giorni, in vista del processo che avrà inizio il prossimo quattro luglio, a chiarire retroscena rimasti fino a questo momento inediti.

 
Segnali, messaggi trasversali passati dal vicolo al carcere, dalla strada alla comunità di recupero, che hanno preso di mira in particolare il primo dei quattro minori ad essere riconosciuto e arrestato. Ricordate di chi stiamo parlando? Era il 24 dicembre quando F.C., meglio conosciuto come il «nano», venne arrestato all'alba. Da allora, ha mantenuto la consegna del silenzio, negando in alcuni interrogatori di aver preso parte al branco che ha picchiato e ridotto in fin di vita Arturo. Eppure nei suoi confronti sono arrivate pressioni o tentativi di smontare sul nascere possibili confessioni che avrebbero tirato in ballo i potenziali complici. E non è stato l'unico bersaglio di questa strategia messa in campo dalla camorra. Una consegna del silenzio inizialmente «social», con quel «o nano mo fai l'uomo» fatta circolare su facebook, per poi arrivare a pressioni sempre più dirette e insidiose.
Chiaro l'obiettivo: salvare uno dei presunti rampolli di una famiglia che in questi mesi ha assunto forza e spessore criminale nel vuoto di potere che si è creato all'interno del rione Sanità. Uno scenario ricostruito dal pm Ettore La Ragione, che ha chiuso di recente il caso con tre arresti e la notifica di un avviso di garanzia a un ragazzino non ancora 14enne (quindi non imputabile). A che serviva la logica del silenzio? Evitare guai, spostare lontano i riflettori da un contesto familiare ritenuto a rischio. E impedire che l'autorità giudiziaria chieda l'allontanamento del 13enne dai suoi genitori, come per altro avvenuto in scenari molto simili, tra Napoli e Reggio Calabria. Intanto, c'è attesa per il processo del 4 luglio. I tre imputati potrebbero chiedere di essere giudicati con il rito abbreviato, mentre sono alle prese con i rispettivi protocolli di recupero, a cominciare dallo stesso F.C., indicato in questi mesi da relazioni positive da parte dei formatori e degli assistenti sociali. Un giro di boa decisivo, quello del processo, in una istruttoria che potrebbe concludersi anche con la «messa alla prova» e una riabilitazione «notarile» per il branco di via Foria.
 
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