Scampia, ergastolo ai killer di Landieri: «Vittima innocente della faida»

Scampia, ergastolo ai killer di Landieri: «Vittima innocente della faida»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 5 Ottobre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 15:59
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Amava quel bigliardino, perché era l'unica alternativa possibile ad una casa popolare priva di luce e di spazio. Amava quel bigliardino e quando arrivarono i killer, fu l'ultimo a lasciare la presa, provando una fuga inutile, disperata. Fu centrato alle spalle, ucciso dagli scissionisti in quella sorta di guerra sporca chiamata faida di Scampia. Quattordici anni dopo - era il sei novembre del 2004 - c'è una verità giudiziaria sull'omicidio di Antonio Landieri, il 25enne colpito per errore, l'«Et» di Secondigliano ammazzato senza un motivo e senza alcun coinvolgimento con fatti di droga e camorra.

Aula 413, è il gip Giovanna Cervo a firmare condanne per i killer dell'omicidio Landieri: ergastolo per Giovanni Esposito, Davide Francescone e Ciro Caiazza; 17 anni e quattro mesi per i due collaboratori di giustizia Gennaro Notturno e Pasquale Riccio, con un verdetto che supera anche la richiesta di condanna della Dda; assoluzione piena invece per Cesare Pagano, boss della prima ora dell'ala scissionista che era stato indicato come mandante (difeso dal penalista Domenico Dello Iacono, è stato invece scagionato da uno degli esecutori, il pentito Gennaro Notturno, che invece tira in ballo Raffaele Amato); e l'altro collaboratore di giustizia Giovanni Piana.
 
Inchiesta coordinata dal pm Maurizio De Marco, che chiude - almeno per il primo grado - una parentesi di dolore e rabbia iniziata un sabato sera di tredici anni fa. Obiettivo del raid dovevano essere i fratelli Meola, che controllavano la piazza di spaccio dei «sette palazzi», un vero e proprio bancomat per le casse dei Di Lauro, su cui gli scissionisti provarono a mettere il proprio timbro di morte e dolore. Non riuscì a scappare, Antonio Landieri. Era disabile, aveva problemi a camminare, passava la sua vita accudito dalla famiglia e, quando era possibile, accanto agli amici, sempre lì a giocare a bigliardino. Lo chiamavano «'o t», perché il suo sorriso e la sua sensibilità lo elevavano al rango di «extraterrestre» per un ambiente duro come i marciapiedi di Scampia. Accanto a lui, furono feriti altri quattro ragazzi che si intrattenevano nella zona dei bigliardini.

Un agguato partito dal rione Monterosa, in pieno clima di guerra. Avevano un obiettivo, i killer: colpire una famiglia che, almeno fino a quel periodo, era rimasta fedele ai Di Lauro. Ma più del piombo e del sangue, più del senso di impotenza di un famiglia onesta per la scomparsa di Antonio, ci fu la gogna, le spalle girate, le serrande che si abbassano all'improvviso. Era la calunnia dei primi mesi, quella che imponeva di ragionare per schemi e di bollare Antonio Landieri come un affiliato, come un «palo» della piazza di spaccio. E invece i killer capirono subito di aver fatto un lavoro sporco - secondo quanto racconta oggi una mezza dozzina di pentiti -, ebbero subito la percezione di aver sbagliato il bersaglio. Anni di dolore e rabbia, fino alla decisione della Procura di accordare la riesumazione del cadavere di Landieri, per mettere in evidenza quali fossero le condizioni di salute del giovane «Et» di Secondigliano: uno stato fisico inconciliabile con il ruolo di palo, di affiliato al sistema delle piazze di spaccio.

«Accadde un macello», dissero i pentiti, mentre gli stessi scissionisti del clan Amato-Pagano provarono a comprare il silenzio dei genitori con una sorta di risarcimento danni. Morte di un ragazzo estraneo alla camorra, omicidio di chi sorrideva alla vita quando si ritrovava accanto a un bigliardino e in quel sabato sera non fece in tempo a scappare o a schivare la furia assassina destinata a qualcun altro.
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