«Nostro figlio seppellito come un boss: ora è stato riabilitato»

«Nostro figlio seppellito come un boss: ora è stato riabilitato»
di Viviana Lanza
Venerdì 5 Ottobre 2018, 08:42 - Ultimo agg. 09:41
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La sentenza ha previsto la condanna per i killer ma i genitori di Antonio Landieri non riescono a gioirne. Il dolore per quel figlio che non c’è più è sempre forte e pesa sui loro cuori come in questi anni ha pesato la difficoltà di dimostrare a tutti, agli altri, di essere persone perbene finite al centro di una storia terribile. «Lo hanno fatto seppellire come se fosse stato un killer, un camorrista, un criminale e invece era un bravo ragazzo», dice con un filo di voce la signora Raffaelina trattenendo a stento le lacrime. Suo figlio era Antonio Lettieri, il giovane di 25 anni assassinato il 6 novembre 2004, in via Labriola a Scampia, in un agguato di camorra. Fu una vittima innocente della faida che quattordici anni fa si combatteva nella periferia nord di Napoli tra il clan Di Lauro e gli scissionisti. La sentenza ha messo un punto sulla sua innocenza. «Ma quanti sospetti abbiamo dovuto sopportare…», ricordano i familiari della vittima. 
È forse questo uno dei ricordi che fanno più male. C’è voluta la riesumazione del corpo di Antonio Lettieri per verificare la grave disabilità della vittima, un handicap che aveva sin dalla nascita, che lo costringeva a spostarsi su una sedia a rotelle e che quel giorno di novembre di quattordici anni fa gli impedì, alla vista dei killer armati, di correre alla ricerca di un riparo come fecero gli altri ragazzi che erano con lui a giocare a biliardino. Aula 413. È l’aula all’ultimo piano del Palazzo di giustizia. I genitori di Antonio Landieri stentano a parlarne, l’emozione è tanta. Uno zio è in lacrime al ricordo di quella feroce dinamica e della riesumazione del corpo che si rese necessaria negli anni delle indagini. Li aiuta a ricostruite i fatti l’avvocato Elena Coccia, che li ha assistiti come parte civile nel processo: «Sono persone perbene che si sono ritrovate al centro di un fatto più grande di loro, di un dramma. Antonio era un bravissimo ragazzo, purtroppo affetto da una grave disabilità che gli impediva di camminare e di parlare». Per quella disabilità, affettuosamente Antonio era soprannominato «O T», stravolgendo in dialetto napoletano il nome del famoso extraterrestre del film di Spielberg «ET». Antonio viveva al Lotto G di Scampia, al tempo una periferia di cemento e degrado che la camorra aveva trasformato nel più grande supermercato della droga all’aperto. Per tutti i giovani la vita da quelle parti non era facile e per Antonio le giornate rischiavano di scorrere tutte uguali perché il posto non offriva molto a quelli come lui. Aveva trovato un interesse e uno svago nel gioco a biliardino. Ce n’era uno sotto casa e così ogni pomeriggio i suoi lo accompagnavano. «Ecco perché Antonio si trovava spesso lì. Non era assolutamente una sentinella come fu detto inizialmente». Questo i familiari di Antonio lo hanno sempre sostenuto, andando oltre i sospetti e la diffidenza di chi inizialmente aveva ipotizzato una ricostruzione diversa. «Grazie alle forze dell’ordine e alla magistratura», dicono i parenti di Antonio sottolineando l’impegno della direzione distrettuale antimafia che non ha mai smesso di indagare sulla morte di quel giovane di Scampia.

Gli unici soldi che i familiari di Antonio Lettieri prenderanno sono quelli stabiliti dai giudici. La sentenza ha previsto una provvisionale a titolo di risarcimento, rimandando in sede civile la quantificazione del danno. Per i genitori di Antonio conta aver reso giustizia alla memoria del loro ragazzo e soprattutto aver chiarito che era un innocente. Un pentito di camorra, uno di quelli che un tempo erano nelle fila dei clan di Scampia e da qualche anno è passato a collaborare con la giustizia, ha riferito ai magistrati di aver saputo di un tentativo da parte del commando di risarcire i familiari di Landieri. «Mi fu raccontato- ha dichiarato ai pm Carlo Capasso, ex uomo dei Di Lauro - che i Notturno contattarono la madre della vittima per darle dei soldi come risarcimento e non dare clamore alla morte del figlio ucciso da innocente e che lei rifiutò». 
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