Genny Cesarano, si pente uno dei killer: «Ecco i nomi del commando»

Genny Cesarano, si pente uno dei killer: «Ecco i nomi del commando»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 5 Dicembre 2017, 22:51 - Ultimo agg. 6 Dicembre, 12:37
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Non ha atteso la fine del processo, ma ha deciso di vuotare il sacco con qualche giorno di anticipo rispetto alla lettura della sentenza. Ha deciso di parlare di «quella cosa brutta» accaduta alla Sanità, del raid armato sotto casa del boss emergente, che costò la vita di Gennaro Cesarano, minorenne ed estraneo alla camorra, colpito per errore a settembre di due anni fa. E parte proprio da quel delitto, il nuovo pentito della camorra metropolitana, l’ultimo collaboratore di giustizia del clan Lo Russo. Si chiama Mariano Torre, ha 24 anni, ha ucciso più volte in nome e per conto di Carlo Lo Russo, a sua volta boss pentito da almeno un anno. 

Da ieri, le sue accuse - tra decine di pagine di omissis - sono state depositate dinanzi al Tribunale del Riesame, dove si stanno discutendo le posizioni di decine di presunti affiliati alle piazze di spaccio dei cosiddetti «capitoni» di Miano e Secondigliano. Ex killer, per altro condannato per l’omicidio di Pasquale Izzi, questa mattina è in attesa della sentenza per il delitto di Genny Cesarano: ha confessato il suo ruolo in forza al gruppo di killer che un paio di anni fa imperversava al centro e in periferia. Era il sei settembre del 2015, quando Mariano Torre e altri killer di Carlo Lo Russo arrivarono in piazza Sanità. Fu un inferno. Una rappresaglia armata, una stesa, la risposta a caldo ai colpi esplosi dagli Esposito in via Janfolla, zona controllata dallo stesso Carlo Lo Russo. 
 
Ed è da questo punto che prende le mosse il nuovo collaboratore di giustizia. Con una posizione ad effetto: le persone che avete arrestato per l’omicidio del 17enne Cesarano - ha spiegato - sono realmente coinvolte nel delitto. Si tratta di soggetti responsabili, me compreso, che hanno svolto un ruolo nell’assassinio di quel ragazzino. Ma ce ne sono altri che non sono ancora finiti sotto accusa - ha ammonito l’ex killer pentito - conosco il nome e il ruolo degli altri personaggi che all’alba di due anni fa entrarono in azione nella Sanità e contribuirono ad ammazzare un ragazzino che nulla centrava con la camorra». Seguono spazi bianchi, omissis della Procura, segno della capacità di Mariano Torre di indicare altri ex affiliati allo stesso gruppo criminale come responsabili dell’agguato alla Sanità.Un colpo a sorpresa, una sorta di terremoto, che questa mattina dovrebbe essere formalizzato dinanzi al giudice Vecchione, dove è attesa la sentenza a carico dei quattro imputati per il delitto di Genny.
 
Decisivo anche in questa storia del killer pentito, il lavoro del pool anticamorra, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Filippo Beatrice e del pm Enrica Parascandolo, che hanno messo alle corde i vertici del clan Lo Russo, puntando l’indice contro gestori di piazze ed esponenti di gruppi di fuoco.
Ma torniamo all’udienza di questa mattina. Rappresentati dal penalista Marco Campora, i genitori di Genny sono costituiti parte civile e ora attendono giustizia. Attendono la sentenza Luigi Cutarelli, Ciro Perfetto, Mariano Torre e Antonio Buono (difesi dai penalisti Domenico Dello Iacono, Sergio Morra, Annalisa Senese). Tra i quattro imputati, Buono è l’unico che non ha chiesto di fare una dichiarazione spontanea, l’unico che non ha ammesso di aver preso parte a quella spedizione alla Sanità. 
Uno scenario che ora potrebbe arricchirsi, alla luce degli accertamenti sui nomi degli altri esponenti di quel gruppo di fuoco piombato alla Sanità, all’alba di due anni fa. Fu un errore di persona, come ha chiarito in videoconferenza lo stesso Carlo Lo Russo, mandante del delitto. 
Dovevano colpire Pietro Esposito, presunto boss della Sanità che sarebbe stato ucciso due mesi dopo l’omicidio del 17enne, ma sbagliarono clamorosamente bersaglio. Puntarono a un gruppo di ragazzi che si attardavano all’esterno di un pub, non andarono per il sottile. 
In pochi minuti furono esplosi 24 colpi, tutti ad altezza d’uomo, uno dei quali raggiunse e uccise il 17enne. Ha spiegato Carlo Lo Russo: «Non era lui il nostro obiettivo, dovevano ammazzare il boss, quel ragazzo non c’entrava con le nostre vicende». 
Oggi si attende la versione di un altro protagonista di quell’alba di dolore e morte. Dopo aver rimediato la condanna per l’omicidio Izzi, Torre ha confessato di aver svolto un ruolo di primo piano per conto del boss di Miano, firmando con il sangue la politica criminale voluta dallo stesso Carlo Lo Russo. Dal 2013 al 2015, due anni in guerra, come raccontano le cimici fatte piazzare in alcuni punti strategici dai pm della Dda di Napoli. 
Ricordate quelle parole intercettate in uno degli appartamenti di via Janfolla? «Noi come l’isis», «noi terroristi pronti a tutto», parole di adesione totale al verbo dell’allora capoclan reduce da una scarcerazione dopo una lunga detenzione. Un clan che dal 2010 ad oggi ha subito decine di arresti, colpito da condanne e sequestri, che oggi fa i conti con i verbali che verranno firmati da Mariano Torre. Stando alle poche pagine depositate ieri mattina dinanzi al Tribunale del Riesame, emerge la capacità di indicare decine di presunti reggenti delle piazze di spaccio affidate alla nuova generazione del clan. 
Riflettori puntati contro quelli che oggi smerciano droga alle porte di Napoli, senza disdegnare di tagliare le droghe leggere - hashish in primis - con sostanze tossiche. Droga a basso costo, prezzi competitivi, che ha inondato in questi mesi le «piazze» di spaccio del centro cittadino, servita a mantenere in vita il sistema che faceva capo al clan dei cosiddetti «capitoni» di Secondigliano. 
Pentiti Salvatore e Antonio Lo Russo (rispettivamente padre e figlio), ma anche gli altri due fratelli di Salvatore, parliamo di Carlo e Mario; pentito anche il killer Torre e alcuni quadri intermedi come Ciro Ferrara: la cosca sembra essere allo sbando. Sono decine i pusher inseriti nel sistema creato alla fine degli anni Novanta dai Lo Russo, che ora attendono di essere inseriti in una organizzazione più ampia che trova i propri vertici nei Licciardi e in alcune famiglie di ormai ex scissionisti del clan Di Lauro. Equilibri fragili, in attesa di capire cosa verrà fuori da processi e inchieste condotte in queste ore. 
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