Terrorismo in Italia, de Raho: «Sono 50 i foreign fighters, strategico il controllo del web»

Terrorismo in Italia, de Raho: «Sono 50 i foreign fighters, strategico il controllo del web»
di Gigi Di Fiore
Venerdì 30 Marzo 2018, 11:09
5 Minuti di Lettura
È di ritorno da Potenza, dove ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo procuratore capo Francesco Curcio. Dopo gli allarmi del ministro dell'Interno, Marco Minniti, e gli arresti disposti dalla Procura di Roma, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, parla del rischio terrorismo in Italia in vista della Pasqua.

Procuratore Cafiero, il ministro Minniti ha lanciato un allarme preoccupato sul rischio terrorismo in Italia nei giorni delle feste pasquali. Condivide la preoccupazione?
«Ci sono generici segnali, su cui convengo, che possono preoccupare. In generale, la Pasqua, come festa religiosa cattolica di particolare significato che attira a Roma tantissimi fedeli, rischia di rappresentare un momento che il terrorismo islamico potrebbero sfruttare per azioni eclatanti».

Dunque, esiste un rischio alto?
«Per la verità, al di là delle mie considerazioni generali, senza nulla voler togliere all'allerta lanciato dal ministro, non credo vi sia davvero altissimo rischio. Questo perché l'attività dei servizi e della polizia giudiziaria è costante, così come quella della magistratura. Basti vedere le inchieste delle ultime ore».

Queste inchieste non dimostrano che in Italia esistono pericolose cellule di terrorismo islamico?
«Le operazioni di Roma, Torino, Bari confermano la nostra attenzione preventiva verso qualsiasi segnale su possibili soggetti pericolosi. La Rete offre strumenti di proselitismo, addestramento, collegamento, radicalizzazione inimmaginabili in passato. Il controllo della Rete è fondamentale e continuo».

Preoccupa il fenomeno dei foreign fighters?
«Quelli in rientro non dovrebbero essere più di una cinquantina in Italia. Il nostro Paese viene considerato più territorio di passaggio, dopo la fine dello Stato Daesh. Vanno tenuti d'occhio gli immigrati di seconda generazione, che soffrono condizioni sociali di emarginazione e offrono il principale terreno di cultura alla radicalizzazione del terrorismo, in un'ansia di riscatto e protesta generale contro la società occidentale».

 

Un fenomeno europeo, che si è esteso anche in Italia?
«Un fenomeno vivo soprattutto in quei Paesi, come Francia e Belgio o anche Inghilterra, dove l'immigrazione ha radici e storie antiche risalenti, per motivi storici, negli anni. Realtà di famiglie naturalizzate, dove i più giovani, che vivono problemi di disoccupazione e emarginazione, sono sensibili al credo terroristico. Bisogna stare attenti che questo non avvenga anche in Italia».
Che strumenti di prevenzione vanno attivati?
«Penso ad azioni di filtro e denuncia tra le stesse comunità islamiche. Uno dei soggetti di origine marocchina individuato a Torino era avversato, per le sue scelte, dalla famiglia. Ecco, la scuola, quando viene frequentata, la famiglia, i vicini, gli amici possono essere strumenti di filtro e prevenzione sociale».
La prevenzione investigativa, invece?
«Il Comitato di analisi strategica sul terrorismo fornisce indicazioni al Viminale, sulla base di relazioni dei servizi. Il monitoraggio dei siti e la raccolta di informazioni sul territorio è costante. Dalla Rete si è arrivati a capire come in provincia di Torino ci sia stato un indottrinamento che arrivava ai ragazzini».
A Roma, invece, l'inchiesta ha individuato elementi già radicalizzati?
«Sì, in questo caso si trattava di elementi considerati di grande rischio. Ricostruire i collegamenti tra più soggetti su un territorio è operazione di prevenzione. Ognuno, se radicalizzato e convinto, può diventare una mina vagante pericolosa per possibili azioni violente».
C'è stata individuazione, o sono arrivate segnalazioni, di attentati o azioni concreti?
«Non siamo a questo punto, non c'è un allarme estremo ma una giusta preoccupazione sulla base della considerazioni già fatte. C'è stata un'immediata e giusta attività investigativa che, negli ultimi giorni, è arrivata a operazioni in più parti del territorio nazionale. Anche questa è stata un'azione di prevenzione giudiziaria».
Tenete d'occhio anche quella che può essere l'attività di propaganda negativa di alcuni imam?
«Certamente, anche se proprio dagli imam ci aspettiamo aiuto e prevenzione sociale. Ci sono moltissimi imam moderati, che possono contribuire tantissimo a prevenire situazioni pericolose».
Dalle inchieste sembra emergere uno scenario tutto campano: la nostra regione come centrale di aiuto logistico per i terroristi. È così?
«Questa è una caratteristica che risale già ad anni passati. Napoli e la sua provincia sono state centrali di produzione di documenti di identità falsificati per gruppi pakistani, che erano integrati in pericolose organizzazioni. L'attività di produzione documenti evidentemente continua e, come appare dalle intercettazioni, elementi inseriti in logiche terroristiche lo sanno».
Napoli e la Campania, come luoghi di transito per ottenere appoggi in vista di azioni terroristiche?
«Probabilmente sì, luoghi di favoreggiamento logistico. Napoli, però, negli ultimi anni non è mai apparsa meta o obiettivo di attentati del terrorismo islamico. Su questo, c'è una differenza con quanto si rilevava in passate indagini, cui facevo riferimento prima, quando vennero scoperte associazioni in rapporto diretto con attentatori».
Come avvengono, allora, gli aiuti logistici o la produzione di documenti sul territorio campano?
«Gli strumenti che offre il web consentono contatti a distanza, anche per ottenere documenti. Lo scambio di messaggi, di istruzioni, di indottrinamento può prescindere ormai dal contatto fisico».
Il monitoraggio preventivo viene attuato su siti e messaggerie particolari?
«Anche su strumenti all'apparenza meno protetti, come Facebook, dove possono trovarsi profili pericolosi di soggetti che fanno proselitismo terroristico».
Dall'estensione della competenza in materia di terrorismo alla Procura nazionale che bilancio si può fare?
«Sin dall'inizio, con il mio predecessore Franco Roberti, è stata avviata un'intensa attività in materia di investigazioni sul terrorismo. Un'attività proseguita, che ha reso sistematico lo scambio di informazioni con gli altri organi investigativi europei. Con le Procure generali di Parigi e Bruxelles lo scambio è continuo. Telefonico in tempo reale e anche diretto».
Ci sono magistrati delegati a questa attività?
«Certamente, sono i magistrati che curano il collegamento con i colleghi di altri Paesi europei. Le segnalazioni su soggetti in transito, su nomi considerati a rischio e pericolosi sono una costante. Lo scambio di informazioni reali e in massima collaborazione è il vero strumento di prevenzione europea. Questa attività alimenta il mio ottimismo di fondo».
Come potrebbe sintetizzare il suo ottimismo?
«Esiste un generale rischio terroristico effettivo, ma non un allarme di maggiore preoccupazione rispetto al passato. La rete di prevenzione è sempre attiva. Il 13 aprile, ci riuniremo con i procuratori di Parigi e Bruxelles per confrontare informazioni e esaminare la situazione attuale. È la dimostrazione di quanto, tra noi, i collegamenti e la collaborazione siano reali».
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