Veti, forzature e teoria dei due forni:
ecco tutti gli errori a Cinque Stelle

Veti, forzature e teoria dei due forni: ecco tutti gli errori a Cinque Stelle
di Francesco Pacifico
Giovedì 3 Maggio 2018, 07:04 - Ultimo agg. 14:29
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I due forni, il contratto alla tedesca, i programmi prima delle poltrone... nonostante il 32 per cento Luigi Di Maio e il M5S non sono riusciti (finora) né a formare una maggioranza di governo, né a blindare la candidatura a premier del 31 anni di Pomigliano d'Arco. Ecco tutti gli errori fatti dal capo politico dei Cinquestelle.

Il giorno dopo il voto che ha consegnato al M5S un terzo dell'elettorato italiano, Beppe Grillo, da Genova, ha richiamato i suoi a tornare virtuosi. «Bravi ragazzi, ma non fate inciuci proprio ora. Tenete duro e non facciamoci cambiare». La diversità grillina erede della stagioni dei girotondi e del popolo viola non è soltanto l'architrave sul quale si fonda il successo di un movimento nato per spazzare via la vecchia politica. Ha finito per essere anche un paradigma che segna e riduce l'azione politica dei grillini stessi. Non a caso lo storico Ernesto Galli Della Loggia segnala che questo è il peccato originale. «L'errore Di Maio e del Movimento sta nel pregresso: lui e i grillini si sentono un partito diverso dagli altri, superiore agli altri. Tutta la loro storia è contraddistinta dal presupposto che gli altri sono incapaci, mascalzoni, che soltanto loro sono i buoni. Anche in questo passaggio Di Maio ha mantenuto questa sua superiorità. L'ha ostentata in modo supponente e dilettantistico». Quest'approccio ha finito per limitarlo sia in fase tattica sia nella strategia. «Essendo gli altri dei mascalzoni, poi come fai a dire che vuoi come compagni di viaggio proprio quegli stessi mascalzoni? Infatti la base non ha compreso il cambiamento».
 
Lo scorso settembre la Bbc è volata in Italia per intervistare Di Maio. «Gli abbiamo chiesto se non sia troppo inesperto per guidare il suo Paese», l'esordio del giornalista britannico. Trentadue anni a luglio, senza una laurea e senza esperienza professionali significative, Di Maio nel 2010 incassava la sconfitta al Consiglio comunale di Pomigliano d'Arco (aveva raccolto soltanto 59 voti), nel 2013 era catapultato alla vicepresidenza della Camera dei deputati. Nota al riguardo lo storico Aldo Giannulli, da sempre vicino ai grillini: «Lo dico da meridionale: quando un ragazzo di una città di provincia si ritrova all'improvviso dall'essere lo steward del San Paolo al secondo scranno di Montecitorio, si convince non che ha vinto la lotteria di Capadanno, ma che tutto è merito suo». Ma non è soltanto questione di inesperienza. Giannulli, amico e consigliere di Gianroberto Casaleggio prima di allontanarsi dal Movimento, ha avuto non pochi contatti con il delfino di Grillo. «Ho parlato con lui diverse volte racconta - e l'ho visto progressivamente preda di un delirio di grandezza. Non ho mai visto una persona sprovvista di senso politico come lui: non ha pensiero strategico, è naif, si riempie di banalità come quando dice non c'è più destra e sinistra, ma ci sono soltanto idee giuste e sbagliate. Lui non ne ha neanche di cattive». Il gioco dei due forni lo ha fatto apparire a molti esponenti del suo movimento come eccessivamente spregiudicato. «No, ha ragione Beppe (Grillo, ndr) quando dice che è lui non è un uomo di potere. Al massimo lui è troppo attratto dai lustrini della scena. Nel movimento si dice che si morirà perché Di Maio vuole diventare il più giovane presidente della storia. No so se è vero, ma lui è affascinato dalla cosa».

Incassato un successo alle urne fuori da ogni previsione, Di Maio si è ritrovato di fronte al problema di non avere i voti sufficienti per governare da solo. Da qui, in un'intervista a Repubblica, il rilancio della formula dei «due forni» di andreottiana memoria: l'offerta, contemporaneamente, cioè al centrodestra (Salvini e a una Forza Italia senza Berlusconi) o al Pd, di fare un esecutivo basato su un contratto di governo sul modello tedesco. In realtà, per il Divo Giulio, i due forni erano cosa diversa: recuperare in Parlamento alla bisogna, a sinistra come a destra, i voti necessari per fare passare i provvedimenti più complessi, per poi diventare l'architrave del governo di solidarietà nazionale con il Pci. Ricorda Paolo Cirino Pomicino, ex ministro del Bilancio e perno della corrente andreottiana: «I due forni non volevano affatto intendere che un'opzione è identica all'altra, che partiti diversi pari sono. Tra l'altro era una strategia riservata, non destinata a creare delle maggioranze, che Andreotti usava più come deterrente. Colpisce tanta arroganza, direi studentesca». Strategicamente, quella dei due forni, non si è rivelata un'arma vincente per il nostro. «Ha creduto conclude Ernesto Galli Della Loggia - di fare una grande invenzione. Quando ha semplicemente detto: io offro a tutti la possibilità di venire al governo con me, poi deciderò chi vuol venire a farmi da sgabello. E non meno furba è stata la storia del contratto: ai partiti non si offrono i contratti ma un accordo di governo».

In principio fu il referendum sull'euro, vietato dalla. Poi c'è stata la presentazione dei ministri al Colle prima delle elezioni e, in ultima, imporre il ritorno a giugno, nonostante la prima finestra utile cada in autunno. «Ma questa nota con rammarico Giannulli più una forzatura istituzionale, è un modo di fare politica alla carlona. Secondo me non sapeva neanche che non si poteva votare a giugno». Fatto sta che di forzature costituzionali Di Maio ne ha regalate molto: la principale è stata pretendere, in un sistema parlamentare e con il proporzionale, di essere nominato presidente del Consiglio soltanto perché «alla guida del primo partito». Nota al riguarda il costituzionalista Giovanni Guzzetta: «Personalmente parlerei di un'interpretazione maggioritaria di un sistema che non lo è: mi verrebbe da usare il termine bastardo, ma accontentiamoci di ibrido. È legittimo che una forza politica voglia usare la propria forza elettorale, illegittimo che questo imponga o l'automatica nomina a premier da parte del presidente della Repubblica o l'obbligo di tornare alle elezioni». Secondo Emanuele Macaluso, storico leader riformista del Pci, i grillini, «confondono scientemente tra il fatto che l'Italia sia una Repubblica parlamentare e che il Parlamento, eletto su base democratica, si possa scegliere non con il popolo ma con la democrazia diretta. Reale o digitale che sia».

Da nuovo azionista forte della politica italiana, Di Maio si sente in dovere anche di scegliere chi portare al governo. Ma anche di porre il veto su chi non gli aggrada: non «il condannato in via definitiva Silvio Berlusconi», non con Matteo Renzi, salvo poi chiamare in causa il Pd. Secondo Guzzetta, c'è «una contraddizione di fondo. Non si può prima pretendere in nome di una logica maggioritaria la presidenza del Consiglio eppoi affermare, in un approccio proporzionale, che le alleanze possono essere trovate in Parlamento». Secondo Macaluso, questa schizofrenia finisce «soltanto a dimostrare all'esterno che il solo obiettivo Di Maio è quello di volere andare al governo. Con chi, di destra o sinistra, non importa». Claudio Velardi, ex spin doctor di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi, vede un deficit di cultura politica: «Di Maio ha peccato di rigidità. Soprattutto, in un quadro come quello successivo al 4 marzo, devi andare al tavolo delle trattative con un piano b. Questo differenzia chi fa politica da chi fa propaganda».

Il quotidiano il Foglio ha scoperto che a cavallo del voto, sul portale del Movimento Cinquestelle, sono stati cambiati i programmi elettorali votati dalla base: nell'ultima versione c'erano, per esempio, aperture alla Nato, agli Stati Uniti e all'Europa. «Quest'atteggiamento nota Velardi dimostra che i Cinquestelli pensano di avere un rapporto solido con il proprio elettorato.

Ma finiscono per sottovalutarlo e per trattarli come minus habens». Conclude Aldo Giannulli: «Capisco che non puoi trattare con Berlusconi, ma non puoi dimenticare il reddito di cittadinanza. Vuol dire che per Di Maio il programma è secondario».

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