M5S, addio toni soft: torna la strategia del vaffa

M5S, addio toni soft: torna la strategia del vaffa
di Francesco Lo Dico
Sabato 5 Maggio 2018, 09:38 - Ultimo agg. 19:48
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Sessanta giorni di cravatte e proclami. Preceduti dall'immancabile premessa: «Come detto al presidente Mattarella, il M5s è una forza responsabile che sente l'impegno di dare un governo al Paese». Poi, il sogno della premiership incenerito nella fallimentare strategia del doppio forno, che segna l'addio alla responsabilità: Mattarella sciolga le Camere, si torna al voto il 26 giugno.

«L'Italia con noi resterà nell'Unione europea», scandiva Di Maio il 13 marzo davanti ai giornalisti della stampa estera. Oggi riecco il referendum contro l'euro firmato Beppe Grillo. L'ennesima piroetta. Che è parte di un coreografico «Vaffa» verso tutto e tutti, studiato a tavolino dagli storyteller del Movimento. Dopo la deferenza mostrata negli ultimi due mesi, ecco il nuovo copione per riportare il pubblico nel multisala pentastellata in crisi di incassi: Di Maio detta la linea al Colle. Che cosa c'è dietro lo sconcertante ribaltone? «Solo marketing politico, Luigi è prigioniero di consiglieri che pianificano tutto solo sulla base della curva di gradimento del web, a loro non interessa nient'altro», confida un parlamentare.

Nel nuovo film a 5 Stelle, Luigi Di Maio è costretto d'un colpo a rispolverare toni dai vaghi accenti eversivi. «Pur di preservare la leadership, e mettere in sicurezza il terzo mandato di Luigi, la war room pentastellata è disposta a tutto. Siamo stufi di fare i pupazzi, la politica è una cosa seria. Ma con quale coraggio li guardiamo in faccia i nostri elettori?», mastica amaro un colonnello grillino. Ma non importa. Di Maio va avanti. Escludere il M5s dal governo, tuona, «significherà ancora una volta chiamare in causa i cittadini. O con il voto subito, ma anche in altri modi...». Quali? Mistero. Brividi per il pubblico. Intanto i like, finiti in picchiata, tornano in territorio positivo. Non è un mistero invece, quale sia il titolo del film con il quale è stato presentato ai parlamentari M5s il nuovo ciak barricadiero: Avengers, infinity war. Che assegna ora alle truppe a Cinque Stelle, poco tempo fa impegnate a recitare la nuova fase matura del Movimento, il ruolo dei vendicatori protagonisti del film per bambini della Marvel: quelli pronti a una fumettistica guerra infinita. Non sono poche le pose caricaturali che ne conseguono. Degno di fiducia fino a giorni fa, Salvini diventa nel racconto M5s l'oscura vittima di un ricatto finanziario di Berlusconi. Ma l'accusa non è accompagnata da uno straccio di prova. Però applausi a scena aperta. Ne vale la pena.

En passant, una nota sulla legge sul conflitto di interessi: nei giorni di trattativa con il centrodestra era sparita dai radar. «Nessun piano contro Mediaset», garantiva Carelli. Poi il piano B. La vendetta appunto: chiudere le tv del Biscione. Il grido al complotto si fa cieco e totalizzante, quando Di Maio accusa Lega, Pd, e Forza Italia di aver boicottato sin dall'inizio un governo 5 Stelle: un piano di cui lui sapeva tutto, «sin dall'inizio». Che non gli ha impedito però di negoziare per 60 giorni con quelli che chiama «traditori della patria» un posto a palazzo Chigi. E i cittadini poveri che avevano bisogno di «misure urgenti» per aiutarli? Possono aspettare un altro po'. Pazienza se da qui al voto, senza governo, rischiano di vedere l'Iva al 25 per cento. Il Pd è oggi per Di Maio «l'ultima cosa che avrebbe voluto».

 

Non più tardi di un mese fa era invece l'alleato naturale: «Sotterriamo l'ascia di guerra e governiamo insieme». Contraddizioni e volute insipienze, sono testardamente ricercate e ribadite: tutto pur di acchiappare un mi piace. Di Maio intima alla Lega di sottrarsi da un eventuale governo di scopo, in modo da farlo morire in culla. Ma la verità, chiara anche a Di Maio, è che un governo di tregua avrebbe comunque i numeri. Involontariamente comica la giustificazione che il capo politico del Movimento adduce a proposito del ritorno alle urne, da lui unilateralmente fissato a fine giugno. «Si può votare il 24 con i ballottaggi. Quelle norme spiega Di Maio con riferimento al voto degli italiani all'estero sono in un regolamento ministeriale, che non può impedire l'esercizio del diritto al voto, diritto costituzionale». Peccato però che il diritto costituzionale che regola i tempi del voto, è guarda caso regolato dalla Costituzione. Articolo 61: «Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti». Di Maio, già vicepresidente della Camera, lo sa benissimo. Ma l'importante è rumoreggiare. Ciak, si gira: «Avengers a Cinque Stelle, fatevi avanti. È il tempo dell'Infinity war».
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