Se il Pd sogna e resta fuori dal mondo

di Massimo Adinolfi
Giovedì 30 Agosto 2018, 08:00 - Ultimo agg. 10:34
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L’orizzonte è quello della fine della democrazia. Walter Veltroni evoca su «Repubblica» gli scenari più cupi – Weimar, l’ascesa del nazismo, 68 milioni di morti e la Shoah – per dare l’allarme e dire che in Italia (e in Europa) è ormai salita al potere «la destra più estrema». Dopodiché invita il Pd a ritrovare ciò che ha perduto: un sogno e un popolo. Se però si lasciano da parte i paragoni storici, si trova che, al dunque, quel che Veltroni suggerisce, oltre che di sognare e di riconquistare il popolo con i sogni, è di rottamare la rottamazione (cioè Renzi) da una parte, e riconsiderare il rapporto con i Cinque Stelle dall’altra, dal momento che molti dei voti grillini del 2018 sono voti che dieci anni fa erano andati al Pd (guidato appunto da Veltroni).

Ci sono dunque tre cose: l’incipiente fine della democrazia da scongiurare, il popolo fuggito sotto le insegne pentastellate da riconquistare, il sogno ancora da sognare del Pd dopo, così si capisce, l’incubo renziano. Le prime due dipendono dall’ultima, dalla capacità del Pd di riaccendere un sogno, ma su tutte e tre è il caso di dire forse qualche parola a commento.

Sulla prima, la fine della democrazia. Se l’evocazione storica ha un senso, allora è ridicolo prendersela solo con Renzi e la rottamazione. Se in gioco sono ormai le libertà e i diritti civili, allora è davvero poca cosa scrivere un articolo per il giornale. Se all’orizzonte si annunciano scenari catastrofici, allora ci vogliono ben altro che le giaculatorie degli ex segretari. Se la fine dell’Unione europea è la fine della civiltà, allora il livello della mobilitazione deve essere proporzionato. Certo, l’erosione degli istituti della democrazia rappresentativa è sotto gli occhi di tutti, ma pone un problema di manutenzione e di riforme, non di resistenza e lotta armata. 

Sul popolo fuggito dal recinto della sinistra Veltroni cade invece in una non piccola incongruenza. Cita infatti il bel libro dello storico William Allen su come si diventa nazisti, in cui si mostra minutamente come in Germania, in una storica roccaforte della sinistra tedesca, i nazisti passarono nel giro di pochi anni dal 5% al 62,3%. Ma dimentica di osservare che allora si sarebbe potuto parimenti dire, in quel frangente, che compito della sinistra era di riconsiderare i molti errori fatti nel rapporto con il nazismo, visto che i voti andati a Hitler erano voti di sinistra. In realtà, né allora né ora i voti sono di sinistra o di destra, nel senso di un’identità o di un’appartenenza che rimarrebbe tale anche quando il voto passa da una parte all’altra. E come i votanti di sinistra per Hitler non mutarono la natura di destra estrema del nazionalsocialismo, così i voti di sinistra ai Cinque Stelle non fanno dei Cinque Stelle una forza politica di sinistra. 

Sulla terza, infine, cioè sul sogno democratico. Veltroni evoca con nostalgia e rimpianto l’oceanica manifestazione del Circo Massimo dell’ottobre 2008, dopo che il Pd era finito all’opposizione. A me viene in mente invece il famoso discorso che pronunciò al Lingotto nel marzo 2007, per annunciare la sua candidatura alla guida del Pd. A leggerlo oggi, infatti, viene da chiedersi come fu possibile che non vi fosse in esso alcun sentore della crisi epocale che di lì a poco si sarebbe abbattuta sul Paese, e sull’Occidente tutto. Tutto stava cambiando, ma in quel discorso non ce n’è la minima avvisaglia. Non si parla di crisi, il nazionalismo è considerato semplicemente anacronistico, la parola immigrazione non compare. Il Pd nacque insomma senza la consapevolezza storica della fase che si stava aprendo, delle sfide alle quali sarebbe stato chiamato, degli avversari che avrebbe dovuto fronteggiare. Nacque, certo, riformista, europeista, progressista, ma in fortissima distonia rispetto ai tempi che avrebbe poi dovuto vivere. Non fa dunque meraviglia che non abbia mai vinto le elezioni politiche in Italia (benché sia andato al governo). Al Lingotto, Veltroni fu molto attento a non pronunciare nemmeno il nome del leader del centrodestra, Berlusconi, con l’idea che ormai appartenesse al passato. Il risultato fu non solo che il Cavaliere ebbe comunque la meglio (salvo non riuscire a terminare la legislatura e uscire a sua volta di scena), ma che i veri avversari, di più lungo periodo, rimasero senza nomi e non riconosciuti. Ora Veltroni improvvisamente li vede, e propone di chiamarli «destra estrema», quando invece è la modificazione in senso populistico delle strutture democratiche quella che deve anzitutto preoccupare. E rispetto ad essa la sinistra non ha alcuna, vera preparazione (mentre sa mettere il pilota automatico se si tratta di ricostruire il fronte antifascista). Ma è difficile che, senza una chiara definizione delle linee di frattura lungo le quali corre il confronto politico, possa bastare un sogno per ritrovare un popolo. La famosa domanda di Marzullo – la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere? – in politica merita infatti una sola risposta, purtroppo: né l’una cosa né l’altra.
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