Senato, lo schiaffo del M5S al Pd: veto sui questori, dem tagliati fuori

Senato, lo schiaffo del M5S al Pd: veto sui questori, dem tagliati fuori
di Barbara Acquaviti
Giovedì 29 Marzo 2018, 07:03 - Ultimo agg. 16:19
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Confessano di sentirsi tutti i giorni, anche più volte al giorno. Ma quello che Matteo Salvini e Luigi Di Maio si dicono a mezzo stampa o via social racconta di un rapporto che sembra essersi inceppato. Sono due i nodi su cui fa fatica a decollare quell'idillio che si era consolidato sull'elezione di Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico alle presidenze di Senato e Camera: la premiership e la presenza in un eventuale esecutivo giallo-verde di Forza Italia.

In vista delle consultazioni al Quirinale, che cominceranno il 4 aprile, anche l'elezione per gli uffici di presidenza, diventano scacchiere su cui testare tattica e strategia. Con un gioco di ammiccamenti, e allo stesso tempo di minacce incrociate, che chiamano in causa il terzo incomodo: il Pd.

È pungente il leader della Lega quando descrive il capo politico del M5s che rifiuta di rinunciare alla presidenza del Consiglio, quasi come quelli che per dispetto portano via il pallone dalla partitella. «Dire o io o io non è il miglior modo per dialogare». Quello che al segretario del Carroccio sembra ancora più inverosimile è che Di Maio riesca a trovare alle Camere i numeri che gli servono per governare. «Novanta parlamentari che dalla sera alla mattina si convincono la vedo difficile», e 50 quelli che invece mancherebbero al centrodestra «sono molti meno di novanta». Il numero uno pentastellato gli risponde via Twitter: «Vuole fare il governo con i 50 voti del Pd di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri».
 
Ma se c'è uno scenario che Salvini rifiuta di contemplare è proprio quello di un accordo con i dem. «Francamente non mi vedo al governo con Renzi e la Boschi. Né ministro di un esecutivo Di Maio». Da questo punto di vista l'offerta è chiara: o si fa entrambi un passo di lato oppure ognuno se la gioca in proprio. Ma con una postilla: «Non vado a un incarico al buio. Io vado se c'è una possibilità di dare un governo in breve tempo agli italiani» e comunque, «non ci sto a tirare a campare per un anno», «o parte un governo, o si va subito al voto». I due si vedranno la prossima settimana.

Ma già da oggi i pentastellati cominceranno un giro di incontri con i gruppi. Chi si chiama già fuori è il Pd. Di certo fa sapere il reggente Maurizio Martina i dem non parteciperanno «a nessun incontro sui programmi con altri. Noi attendiamo con rispetto prima di tutto le consultazioni del presidente della Repubblica». Regge, insomma, la linea Renzi del «tocca a loro», quella che colloca il Pd lontano da tutte le partite. Come ha dimostrato l'elezione dell'ufficio di presidenza del Senato. I dem, dopo una giornata di tensione con i pentastellati, portano a casa soltanto un vicepresidente, la orlandiana Anna Rossomando. Gli altri sono Calderoli (Lega), La Russa (Fdi) e Taverna (M5S). Nessun questore (uno alla Lega, uno a Udc-Fi, l'altro ai pentastellati). «E' gravissimo», spiega il neo capogruppo, Andrea Marucci. Ma la scena, che non è piaciuta al Colle da dove filtra sconcerto, potrebbe ripetersi oggi quando si voteranno i rappresentanti dell'ufficio di presidenza della Camera: il Pd rischia di restare a secco.

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