«I voti della camorra» per l'ex sindaco Aliberti e la moglie Paolino, le motivazioni del tribunale di Salerno

«I voti della camorra» per l'ex sindaco Aliberti e la moglie Paolino, le motivazioni del tribunale di Salerno
di Nicola Sorrentino
Lunedì 3 Settembre 2018, 13:08
3 Minuti di Lettura
SCAFATI. “Nessun dubbio in ordine all’esistenza di un accordo corruttivo tra Pasquale Aliberti con Alfonso Loreto, Luigi Ridosso e Gennaro Ridosso volto a sostenerlo come candidato per l’elezione a sindaco garantendo in cambio appalti. Il tutto reso possibile grazie alla forza di intimidazione che i predetti, partecipi di un clan di stampo camorristico, operante sul territorio da anni, imponevano così da essere riconoscibili e riconosciuti dai più, primo fra tutti Aliberti Angelo Pasqualino il quale, consapevole dello spessore criminale dei medesimi, originato anche dalle rispettive famiglie, non acconsentì alla candidatura diretta di un esponente di quella famiglia ma chiese l’individuazione di un altro candidato/nome apparentemente non ricollegabile alla medesima”. Sono le motivazioni della sentenza di condanna per Alfonso Loreto e i cugini Luigi e Gennaro Ridosso, con rito abbreviato. Il gup Emiliana Ascoli ha così motivato le accuse di scambio di voto politico elettorale e corruzione elettorale, violenza privata e estorsione a carico dei tre, interni al clan Loreto-Ridosso. Il patto con la classe politica ci fu, tra il 2013 e il 2015, tra elezioni amministrative e regionali. Nel 2013 ci fu la corruzione elettorale, con la condanna dei tre imputati, lo scorso luglio. Non per l'ex sindaco Pasquale Aliberti, attualmente sotto processo per scambio elettorale policito-mafioso, insieme alla moglie Monica Paolino, consigliere regionale, e il fratello Nello Maurizio con l’ex staffista Giovanni Cozzolino, l’ex consigliere Roberto Barchiesi e Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse.

Il gup ha riconosciuto l’esistenza di un patto per le elezioni del 2013 nelle quali fu eletto sindaco Aliberti, ma anche per le Regionali del 2015, nelle quali Monica Paolino fu eletta consigliere regionale di Forza Italia. A questo proposito il Gup scrive: “Quando alla competizione elettorale regionale, pacifica risulta la sussistenza di un patto politico-elettorale-mafioso”. Per le elezioni del 2013, l'ex sindaco avrebbe stretto un patto con il clan in cambio di voti. Gli esponenti dei Loreto-Ridosso gli avrebbero chiesto però di entrare negli appalti della pubblica amministrazione con proprie ditte, "pulite". Ad Aliberti fu proposta la candidatura di Andrea Ridosso, fratello di Luigi, ma l’ex sindaco preferì non averlo nelle sue liste, cosciente che sarebbe stato attaccato dai suoi avversari. Al suo posto andò Roberto Barchiesi, zio dell’allora moglie di Alfonso Ridosso, che fu poi eletto in consiglio comunale. Ad Andrea Ridosso sarebbe stato invece dato un incarico in una cooperativa del Piano di Zona, di cui il comune di Scafati era allora capofila. 

Ma Aliberti non avrebbe rispettato quei patti. E così - secondo il gup - rinnovando quell’accordo per le elezioni Regionali del 2015 dovette concedere poco prima del voto, nell’aprile del 2015, un appalto per le pulizie all’interno dell’Acse per una ditta creata ad hoc dai Ridosso-Loreto. “Quell’appalto dell’aprile 2015, tenuto conto della competizione in atto, distante due anni da quella precedente, caratterizzata da analogo accordo, concluso e poco o per nulla rispettato dal politico, rappresentava l’utilità di un ulteriore patto politico-elettorale-mafioso”. Secondo il giudice, Aliberti doveva assicurare qualcosa di concreto ai suoi interlocutori. Per le Regionali, tuttavia, lo stesso gup non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte contro Gennaro Ridosso, assolto da quel capo d'imputazione. E' stato invece condannato per aver minacciato la giornalista Valeria Cozzolino, insieme a Nello Maurizio Aliberti, nel corso della campagna elettorale del 2013. Accusa della quale dovranno rispondere ora anche l'ex sindaco e il fratello. 

I tre esponenti del clan sono stati condannati anche per estorsione ai danni degli imprenditori conservieri Aniello e Fabio Longobardi. Avrebbero imposto alle vittime i servizi di pulizia all’interno delle proprie fabbriche, nonchè il versamento di somme di danaro per prestazioni inesistenti. A pesare nel giudizio anche le dichiarazioni autoaccusatorie di Luigi Ridosso il 19 luglio scorso. “A cristallizzazione del quadro probatorio, Luigi Ridosso, nel corso dell’udienza in discussione, ammetteva gli addebiti depositando memoriale con il quale si riconosceva colpevole non solo dei fatti contestati ma anche di altri oggetto di procedimento definito con sentenza di condanna il 3 maggio 2018”. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA