Il pensiero romano per rifare la comunità: riflessioni e spunti dall'ultimo saggio del filosofo francese Onfray

Il pensiero romano per rifare la comunità: riflessioni e spunti dall'ultimo saggio del filosofo francese Onfray
di Marco Gervasoni
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Domenica 27 Gennaio 2019, 09:44 - Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 05:17

È tempo di riprendersi la romanità. O almeno di discuterne. Bruciati dall'uso che ne fece il regime fascista, noi italiani abbiamo tuttavia lasciato che questo grandioso patrimonio di saperi, di immagini, di miti, che questo modello di civiltà, fosse relegato alle versioni di liceo, alle rovine e ai templi, agli studi degli specialisti. Eppure negli Stati Uniti la memoria di Roma antica fa ancora parte del dibattito pubblico - non passa giorno senza che Trump non venga accostato a Nerone, a Caligola e via dicendo. Mentre in Francia Macron appena eletto si paragonava a Giove (ora però, chissà perché, non più). Non a caso a invitarci a recuperare la romanità, vale a dire l'universo di pensieri, di comportamenti, di credenze, e il rapporto con il mondo dell'antica Roma, sia un filosofo francese, Michel Onfray nel suo libro recentissimo (Sagesse. Savoir vivre au pied d'un vulcan, Albin Michel, 22 euro).

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In particolare, Onfray ci invita a rivalutare il pensiero romano, sfidando la vulgata che vuole Roma antica aliena alla filosofia. Tutt'altro. Era un sistema concettuale molto diverso da quella greco, tanto che Atene e Roma, unite nei secoli successivi nel «pacchetto» civiltà classica, sono in realtà due modelli molto lontani, e a tratti antitetici. Tanto astratta è la filosofia greca quanto concreta è quella romana. Una filosofia immersa nel mondo, che deve servire alla vita quotidiana, alla vita pratica, a quella della civitas e della politica, una filosofia che aiuti a superare le avversità e il dolore (lo stoicismo domina a Roma). Una filosofia dell'azione contro la decadenza che, secondo Onfray (e Michel Houellebecq, per dire) sta divorando la nostra civiltà (Decadenza non a caso si intitola il libro precedente di Onfray).

ITALIAN WAY
Filosofia dell'azione! Ma questo è il nucleo vitale dell'Italian way nel pensiero. Da Tommaso d'Aquino fino a Antonio Gramsci passando per Machiavelli, Bruno, Vico, Genovesi, Gioberti, Rosmini, Croce, Gentile. Lo aveva chiaro il massimo filosofo italiano del secondo Novecento, Augusto Del Noce. L'essenza filosofica della romanità abita lo stile di pensiero italiano, e non per niente, quando abbiamo dimenticate queste vestigia, si è indebolita la filosofia, diventata chiacchericcio e puro calco di modelli stranieri, si è indebolita l'azione, si è indebolita l'Italia. Quindi fare buon uso delle rovine , come scrive Onfray, vuol dire recuperare il senso della comunità politica, che era nella romanità, e al tempo stesso quello dei limiti dell'uomo, della sua finitezza. L'uomo, anche quello politico (anzi, soprattutto quello politico) non può tutto, e quando egli supera un certo limite, devono parlare le leggi della città prima e, poi, quelle degli dei, a metterlo in guardia e, se serve, a punirlo. Del resto molti studiosi ritengono che nelle stoicismo di epoca romana vi siano i primi germi del liberalismo.

ATEOLOGIA
Sicuramente, l'idea di un diritto naturale dell'uomo compare la prima volta proprio in loro, come si vede anche solo scorrendo Seneca, Epitteto o Gaio Musonio Rufo. Benché Onfray si definisca ateo, e molto ha scritto su questo tema (pure un Trattato di ateologia!) egli mostra come la saggezza romana sia impregnata di religiosità, ovviamente pagana.

Ma qui Onfray commette lo stesso errore dei primi pensatori cristiani: quello di vedere nel politeismo una sorta di ateismo. Cosi quella romana sarebbe secondo lui in realtà una finta religiosità, superiore a quella cristiana che Onfray, con toni echeggianti il suo amato Nietzsche, ritiene un credo mortificatore destinato a spiriti deboli. In realtà, la romanità fu grande proprio perché intimamente religiosa. Vero è che il cristianesimo, mentre contribuì a conservare la romanità, da cui ereditò anzi la forma politica, ne indebolì il carattere di organicità, che la faceva un'autentica civiltà dell'uomo. Che è quella che oggi dobbiamo recuperare e conservare.

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