Governo, il centrodestra punta sull'appoggio esterno. Lega-M5S, trattativa sulle Camere

Governo, il centrodestra punta sull'appoggio esterno. Lega-M5S, trattativa sulle Camere
di Alberto Gentili
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Sabato 10 Marzo 2018, 09:23
Matteo Salvini e Luigi Di Maio stringono ogni giorno di più l'assedio al partito che fu di Matteo Renzi. E' una partita d'attesa e attendista, di logoramento (del Pd), disputata sotto le bandiere di guerra che Sergio Mattarella ha invitato ad ammainare. E per questa ragione ancora decisamente incartata.



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Salvini, come aveva fatto Di Maio, chiede ufficialmente il sostegno del Partito democratico, i cui voti (o astensione) sono essenziali per far nascere qualsiasi governo. Lo fa senza fare concessioni. Dice che il premier dovrà per forza essere lui. Sostiene che l'esecutivo dovrà essere politico, di centrodestra e dunque non il governissimo vagheggiato da Silvio Berlusconi. Lancia la minaccia che più allarma il Cavaliere e il Nazareno, che devono riorganizzarsi per sperare in una ripartenza: «Se il governo non sarà politico, si va sparati alle elezioni». In più Salvini scandisce slogan euroscettici rispondendo a Mario Draghi: «Stare nell'euro è irreversibile? Di irreversibile c'è solo la morte».

IL VIA LIBERA DEL CAV
Sembrano mosse studiate per mettere Berlusconi sempre più in difficoltà. Ma è una trattativa, lunga e dolorosa. All'inizio si spara forte, per poi concedere qualcosa. Inoltre ad Arcore guardano con favore all'idea di proporre l'appoggio esterno o la non fiducia al Pd: «Quel che Matteo fa per far nascere un governo va bene». Del resto questa soluzione è stata già prospettata dal capogruppo uscente Renato Brunetta. E viene rilanciata dal suo omologo in Senato, Paolo Romani: «Siamo quelli più favorevoli a questa ipotesi, l'appoggio esterno dei Partito democratico è la soluzione. Ma, se accadrà, ci si arriverà tra tre mesi». Dopo il logoramento della premiership di Salvini, come auspica il Cavaliere. E forse dopo un'implosione del Pd che resiste sulla linea: «Opposizione a tutti i costi».

«In quel partito non si sa con chi parlare», chiosa il leader leghista che per ora tiene alta la sua candidatura a palazzo Chigi. Una frase che serve a fotografare il marasma in cui sono precipitati i dem e a seminare divisioni: «Spero che nel Pd ci sia qualcuno disponibile a dare una via d'uscita al Paese». In via Bellerio, ma anche ad Arcore, si scommette infatti che proprio da una lacerazione dei gruppi parlamentari dem possano arrivare i voti per far decollare il governo di centrodestra. Non a caso Salvini è molto attento alle voci che parlano di una possibile divisione dei deputati e dei senatori del Pd e spera che l'implosione venga innescata «tra qualche mese» dagli appelli del Quirinale alla responsabilità, dai mercati finanziari in tempesta e dal rischio concreto di precipitare verso nuove elezioni.

Di Maio non sembra impressionato: «Tranquilli, al governo andremo noi, se ci sarà un esecutivo Lega-Forza Italia-Pd prenderemo i popcorn e vedremo aumentare ancora di più il nostro consenso». E in questa guerra di posizione fa come Salvini: strizza l'occhio al Pd sul fronte della tenuta dei conti pubblici, dicendo però che non ci sono subordinate al suo nome per palazzo Chigi. Ma in realtà tratta a 360 gradi. Non a caso è pronto a incassare la presidenza della Camera che il leader leghista è tornato a proporre ai Cinquestelle.

LO SCAMBIO
Quella delle prime poltrone da assegnare è ormai una telenovela. All'inizio era stato Di Maio a offrirla. E l'aveva assegnata al Pd, come antipasto di un eventuale intesa di governo. Poi Lega e Cinquestelle avevano programmato lo scambio. Adesso, dopo qualche giorno di silenzio, rilanciano lo stesso schema, dove a Montecitorio dovrebbe andare Roberto Fico o Emilio Carelli e a palazzo Madama Roberto Calderoli. A meno che Salvini non dovesse puntare su Giancarlo Giorgetti alla Camera.

Il riemergere di questo schema sconsiglia di archiviare, di definire impossibile, la nascita di quella che Renzi chiama «coalizione populista». E il battesimo, nonostante le smentite, di un esecutivo tra Cinquestelle e Lega. Con un problema: il colore e il nome dell'eventuale premier. L'indicazione di Danilo Toninelli a capogruppo del Senato, l'uomo che ha condotto la trattativa sulla legge elettorale, la dice però lunga sulla volontà grillina di mediare.
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