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Il calcio italiano e la banalizzazione del razzismo

Il Napoli ha condotto una battaglia di civiltà. Fabian Ruiz è il nuovo Xavi. Scambiare Nainggolan con Zaniolo è come bidonare Belen per la Littizzetto

Il calcio italiano e la banalizzazione del razzismo

FALLI DA DIETRO – COMMENTO ALLA 20A GIORNATA 

La battaglia di civiltà del Napoli

Non se ne poteva proprio più.

Il Santo Stefano di San Siro mi era bastato.

Il picciotto Mazzoleni consente i cori razzisti per tutta la gara, ma si offende a un applauso polemico dell’Imperatore nero.

E così il caso Koulibaly diventa virale.

E il tema viene immediatamente banalizzato.

Con il contributo istituzionale grottesco.

Ognuno dice la sua. Ognuno è in contraddizione con l’altro.

Il Ministro dalle mille divise preferisce chiudere i porti ma non le curve. E intanto trova pure il tempo per recarsi  a una festa in visita di un ultras già condannato.

Il Capo della Polizia avverte minaccioso chi vuole soluzioni esemplari.

Il Capo del Coni si barcamena un po’ qua un po’ là.

Alla fine la cosa che risulta più evidente è che nessuno ha una gran voglia di risolvere il problema.

Nel tipico caos italiano, il dato positivo.

Il Napoli, con Re Carlo in testa, assume il ruolo di capofila per una battaglia che non è solo di correttezza sportiva ma che è soprattutto una battaglia di civiltà.

In presenza di un clima e di comportamenti simili a quelli di San Siro, i giocatori del Napoli si fermeranno.

Il calcio business si fermerà e per qualche minuto sarà costretto a riflettere.

E’ una bella lotta.

Si può vincere uno scudetto anche così.

E sarà uno scudetto dal valore simbolico ben più consistente del triangolino che il Sistema silente e acquiescente perché munifico per tutti, cuce ogni anno sempre sulla stessa maglia.

Gedda

La sosta serviva anche a questo. A placare gli animi e a schiarirsi le idee.

Manco il tempo di manifestare i primi sintomi di astinenza che subito si sbatte contro la gigantesca marchetta di Gedda.

Un piatto di lenticchie. E il calcio italiano corre in aiuto a un paese autocratico e repressivo.

Se poi alla fine si vede Acciughina impacchettare la coppetta in un ghutrah a scacchi quadrati bianchi e rossi nasconderla sotto un braccio e scappare di soppiatto all’aeroporto, crolla anche la debole strategia di Miccichè che vede in queste partite una vetrina necessaria per rafforzare un’immagine riconoscibile del calcio italiano a livello internazionale.

C’è un’immagine da ripulire anche a San Siro.

E in questi casi non c’è scelta.

Si ricorre ai bambini. Sarà un’idea un po’ banalotta, un’idea po’ ipocrita, ma è sempre un’idea vincente

Anche la campagna nerazzurra del BUU da scrivere e non da urlare appare più doverosa che sentita come una necessità civile.

In campo i Ceramisti, storica bestiaccia nera.

Wandicardi esegue fedele gli ordini della mogliera di non toccare palla finché non firmerà il rinnovo. 

Così il Parapet  deve ringraziare Handa se finisce a reti inviolate.

La Roberta della nostra Nazionale corre all’Olimpico per ammirare il giovane centrocampo azzurro del futuro, tutto sangue-oro.

E così riesce anche vedere dal vivo cosa sta diventando Nicolò Zaniolo, e immaginare cosa potrà essere fra qualche anno.

Impossibile non pensare ai genii del mercato Suninter.

Prendere il Ninja per Zaniolo è come avere un appuntamento con Belen e bidonarla per uscire con la Littizzetto.

E’ la giornata dei centravanti con guizzi d’azzurro.

Del Quaglia. Che a 36 anni non riesce a fare un goal normale. Tutti strepitosi i suoi goal.  E la Roberta dovrà per forza chiedergli di dargli una mano.

Di Pavoletti. Il miglior bomber di testa in giro per l’Europa, molto probabilmente.

Laocoonte Duvan ne fa addirittura quattro.

Una forza impetuosa, una tenacia straripante. Un gigante.

Lo guardi e non si può non pensare al gruppo marmoreo dei Musei Vaticani amato da Michelangelo. 

E’ lui il rimpianto più grande.

Il Napoli contro gli Aquilotti prende più pali di quanti non ne prendessi io negli anni 60 quando attraversavo il mio tempo delle mele.

Il lato positivo è che si delinea la nuova colonna vertebrale della squadra.

Con l’Albatros fra i pali che dà sempre più sicurezze.

Con Arcadio, l’Armadio di cristallo bomber di fisico e di piedi fatati.

E soprattutto con il Fenicottero andaluso.

Re Carlo lo ha voluto fortemente. Schierandolo inizialmente defilato da esterno.

Ma si intuiva che la reale destinazione del ragazzo  fosse un’altra. Quella di alternativa a un eventuale delusione del progetto Mareshark in regia.

Lui è il vero centrale moderno. Il nuovo Xavi. Con la differenza che lui è mezzo metro più alto. Un fisico prorompente, al servizio di un’intelligenza superiore.

Con l’Imperatore nero a dirigere la difesa, ecco l’ossatura di uno squadrone da elite europea.

Nel dibattito sul ruolo delle donne nel maschilista mondo del calcio, impossibile tacere di un episodio che ha avuto molta risonanza.

Imke Wubbenhorst ha trent’anni. Ed è l’allenatrice del Cloppenburg 5a categoria tedesca. E’ anche la prima allenatrice professionista tedesca di uomini.

Il cronista del Die Welt le chiede provocatoriamente se i suoi calciatori dovessero mettere i pantaloncini prima del suo ingresso negli spogliatoi.

E lei risponde. “Certo che no. Io scelgo i calciatori in base alla lunghezza del pene”.

Genio. L’ironia vi seppellirà.

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