ilNapolista

Maifredi: «Il calcio lo abbiamo cambiato io e Zeman, Sacchi giocava a 5 dietro e col libero»

Intervista al Foglio: «Fu Berlusconi a dirgli di togliere il libero. Alla Juve una volta feci fare la formazione ai giocatori, misero il libero e persero»

Maifredi: «Il calcio lo abbiamo cambiato io e Zeman, Sacchi giocava a 5 dietro e col libero»
Db Milano 06/11/2010 - campionato di calcio serie A / Inter-Brescia / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luigi Maifredi

Il Foglio ha intervistato Gigi Maifredi ex allenatore del Bologna dei miracoli e per un anno allenatore della Juventus di Montezemolo. Intervista senza peli sulla lingua.

«Io credo che la rivoluzione l’abbiamo fatta io in alta Italia e Zdenek Zeman nel centro sud. Tertium non datur. Poi, altri si sono aggregati e presi meriti che non gli appartenevano. Il gioco a zona, il famoso 4-3-3, è nato da noi due. È inutile girarci intorno. Altri l’hanno promozionato, non inventato. Il Milan di Arrigo Sacchi tatticamente è stato qualcosa di molto importante, ma lui dietro aveva sempre giocato a cinque. È stato Silvio Berlusconi a dirgli di giocare a quattro. Il Cavaliere aveva avuto al Milan Nils Liedholm, che aveva inventato la zona alla Roma. Una zona, che faceva di necessità virtù. I giocatori erano tutti avanti con gli anni e, cercando di limitare al massimo le corse a vuoto, per loro comodità si auto- confinavano in una ristretta zona di competenza. Liedholm, che era super-intelligente, non fece altro che trasformare in un teorema la comprensibile voglia di risparmiare energie dei propri attempati calciatori».

Arrigo Sacchi non ha, quindi, checché se ne pensi, inventato nulla?

«Sacchi è stato bravissimo, quando è andato al Milan, a ripiegare sulla zona. Nel Parma si era fatto notare giocando con Gianluca Signorini nel ruolo di libero, due difensori e due esterni. Berlusconi gli ha fatto togliere il libero e lui ha cominciato a giocare con la difesa a quattro. Peraltro, si è perfezionato mandando suoi uomini di fiducia a vedere i miei allenamenti e quelli di Zeman ed è stato indubbiamente capace di costruire una squadra, che era bella da guardare».

L’anno alla Juventus.

«Venivo da un filotto infinito di vittorie e non avevo messo nel giusto conto le difficoltà che avrei incontrato. Al di là di questo, io sino alla ventesima giornata sono stato primo o secondo. Poi, mi hanno fatto una “carognata” e in quel preciso momento ho maturato la voglia di venir via dalla Juve e, in qualche modo, dal calcio».

Non ci lasci nel dubbio e nell’incertezza. Quale è stata la “carognata”?

«Ci hanno fatto perdere una partita a Marassi contro la Sampdoria, fischiandoci un rigore contro, che definire inesistente è riduttivo, e facendoci perdere una partita che avevamo dominato dall’inizio alla fine. In quel preciso momento ho capito che ero un carneade che nessuno avrebbe mai difeso. Lì ho mollato ed è stata la mia più grande mancanza. Pensi che, prima del derby contro il Torino, dissi ai giocatori che, visto che il nostro modo di giocare non gli piaceva, erano liberi di ripristinare il libero. Lasciai che fossero loro a fare la formazione e con Daniele Fortunato nel ruolo di libero dietro la difesa perdemmo per 2 a 1. Dentro di me, avevo da tempo già detto basta».

ilnapolista © riproduzione riservata