A che punto è il caso CONSIP?

Le indagini sono ancora in corso e ieri l'ex amministratore delegato della società ha ripetuto le sue accuse contro il ministro dello Sport Luca Lotti

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Ieri a Roma c’è stato il primo confronto tra l’ex amministratore di CONSIP, Luigi Marroni, e Luca Lotti, ministro dello Sport e stretto collaboratore di Matteo Renzi. Marroni, scrivono i giornali, ha confermato le accuse che aveva formulato per la prima volta nel dicembre del 2016: Lotti e una serie di altre persone lo avrebbero informato di un’indagine sul suo conto avvertendolo che i magistrati avevano fatto mettere delle microspie nei suoi uffici. Questa versione è sempre stata smentita da Lotti. L’incontro è durato due ore e si è svolto in una caserma dei carabinieri, in presenza dei magistrati romani che seguono l’inchiesta.

L’indagine CONSIP è una delle più complesse e delicate degli ultimi anni. È divisa in numerosi filoni di cui si occupano le procure di Roma e Napoli. L’indagine è iniziata nel 2016, quando il magistrato di Napoli Herny John Woodcock ha iniziato a sospettare che l’imprenditore Alfredo Romeo avesse corrotto alcuni funzionari pubblici per ottenere appalti nel settore della sanità. Si è poi estesa a CONSIP, la grande società che si occupa di fare acquisti per buona parte della pubblica amministrazione. Ha toccato il padre di Matteo Renzi, Tiziano, accusato di aver fatto pressioni sui vertici di CONSIP per favorire un socio in affari. Uno dei suoi filoni, infine, riguarda i carabinieri che hanno seguito le indagini per conto di Woodcock, accusati di aver manipolato le prove in loro possesso per incastrare Matteo Renzi e suo padre Tiziano.

Quello che riguarda l’ex amministratore di CONSIP e Luca Lotti è uno dei filoni più delicati. Secondo Marroni l’inchiesta era un colabrodo: ben quattro persone diverse, tra cui Lotti e due generali dei carabinieri, lo avrebbero avvertito che la procura di Napoli stava indagando su di lui, e questo nonostante la notizia avrebbe dovuto rimanere segreta. Dopo essere stato avvertito, Marroni fece rimuovere le microspie che si trovavano nel suo ufficio. Tutte le persone che ha chiamato in causa negano però di essere la fonte della rivelazione che gli permise di “bonificare” il suo ufficio.

Ieri Marroni ha ripetuto che Lotti lo avvertì dell’indagine e gli disse che «si trattava di un’indagine nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore». Non è chiaro come mai si sia verificata questa fuga di notizie, che ha permesso a Marroni di danneggiare molto le indagini. I principali sospetti riguardano i carabinieri del NOE, il reparto usato da Woodcock nelle sue indagine. Alcuni carabinieri, facendo rapporto ai loro superiori sulle indagini in corso (una pratica comune ma osteggiata dai magistrati), avrebbero fatto arrivare la notizia dell’indagine su CONSIP fino all’alto comando dei carabinieri e quindi a Luca Lotti. Sia i generali che Lotti, però, negano questa ricostruzione.

Alcuni carabinieri del NOE sono coinvolti anche in un altro filone dell’inchiesta. Sono il maggiore Gianpaolo Scafarto e il colonnello Alessandro Sessa, due stretti collaboratori di Woodcock, accusati dai magistrati di Roma di aver travisato volontariamente alcuni elementi dell’indagine per aggravare la posizione di Tiziano e Matteo Renzi sulla quale stavano indagando. Scafarto, in particolare, è accusato di aver attribuito in maniera scorretta alcune frasi di un’intercettazione telefonica, in modo da mettere la famiglia Renzi in cattiva luce. È anche accusato di aver scritto in un rapporto di interferenze dei servizi segreti nelle indagini, anche se non esistono prove di queste interferenze e se l’episodio che aveva generato i sospetti era già stato smentito.

Per via delle accuse Scafarto era stato sospeso dal servizio, ma il tribunale del riesame un settimana fa ha accolto la sua richiesta di reintegro. La settimana scorsa i giudici hanno stabilito che non si sono prove che Scafarto alterò i suoi rapporti consapevole di scrivere il falso e che furono invece degli errori in buona fede. La procura di Roma ha fatto ricorso, sostenendo che invece Scafarto debba rimanere sospeso dal servizio.

Per certi versi, il caso CONSIP è diventato anche un’indagine sul modo di fare inchiesta di alcuni magistrati, in particolare del sostituto procuratore di Napoli Henry John Woodcock. Questo metodo prevede di allargare costantemente la rete delle indagini, intercettando a strascico le telefonate di tutte le persone coinvolte, aggiungendo filoni su filoni all’inchiesta e sottoponendo testimoni e indagati a interrogatori particolarmente duri e minacciosi. Attualmente, Woodcock è sotto procedimento disciplinare da parte del Consiglio superiore della magistratura per i metodi utilizzati.

L’indagine, che dura oramai da più di un anno, ha messo in luce ancora una volta la facilità e i meccanismi quasi automatici con cui le informazioni fuoriescono da alcune delle più importanti procure italiane, verso indagati, avvocati e giornali. Le fughe di notizie sono avvenute sia a vantaggio di persone vicine alle indagini, come Marroni che le ha usate per eliminare le microspie dal suo ufficio, sia dei giornali, a cui sono stati sistematicamente passate le informazioni più delicate e imbarazzanti per la famiglia Renzi e gli altri politici coinvolti. Sulla prima fuga di notizie la procura di Roma sta ancora indagando. Sulla seconda, quella a vantaggio dei giornali, le indagini sono già state chiuse senza che venisse trovato alcun colpevole.