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  • Giovedì 27 dicembre 2018

Cosa si sa dell’omicidio di Pesaro

Secondo il Procuratore nazionale antimafia «qualcosa potrebbe non aver funzionato», nella storia dell'uomo ucciso benché sotto protezione del ministero dell'Interno

(ANSA/Roberto Damiani)
(ANSA/Roberto Damiani)

Il 25 dicembre un uomo che si chiamava Marcello Bruzzese, fratello di un collaboratore di giustizia, è stato ucciso a colpi di pistola nel centro storico di Pesaro, dove viveva insieme alla sua famiglia. L’uomo aveva 51 anni e faceva parte di un programma di protezione da quando suo fratello, Girolamo Biagio, esponente di una cosca della ‘ndrangheta, nel 2003 aveva deciso di collaborare con la giustizia. Marcello Bruzzese è stato ucciso mentre parcheggiava la sua automobile in garage, in via Bovio; due uomini con il volto coperto gli hanno sparato più di venti colpi con pistole automatiche mentre ancora si trovava nella vettura, dopodiché sono scappati. L’omicidio è avvenuto alle 18.30. Sul posto sono arrivati dopo pochi minuti i carabinieri chiamati dagli abitanti della zona che avevano sentito i colpi. Secondo una testimone, i due uomini che avevano sparato sono scappati a piedi subito dopo l’omicidio, e al momento sono ancora ricercati.

I Bruzzese sono stati per anni alleati della potente cosca del boss della ‘ndrangheta Teodoro Crea, che operava a Rizziconi, in Calabria. La principale ipotesi degli investigatori è che l’omicidio sia stato una vendetta nei confronti di Girolamo Biagio Bruzzese, ma non si escludono altre motivazioni: la procura distrettuale antimafia di Ancona e quella ordinaria di Pesaro hanno aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario con l’aggravante mafiosa.

Nel 1995 Marcello Bruzzese era già sopravvissuto a un attentato: in quell’occasione morirono il padre Domenico e un cognato, mentre lui venne solo ferito allo stomaco. A commettere quegli omicidi fu Elio Ascone, membro di una cosca rivale dei Bruzzese, che fu ucciso a sua volta per vendetta poche ore dopo. La collaborazione con la giustizia da parte di Girolamo Biagio Bruzzese iniziò il 20 ottobre del 2003, quando l’uomo, all’epoca latitante, sparò tre colpi di pistola, di cui uno in testa, al boss Teodoro Crea, e poi, credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi alla stazione dei carabinieri del comune di Polistena.

Crea però non morì, e oggi è detenuto in regime di 41 bis. Bruzzese iniziò invece il suo percorso di collaborazione con la giustizia e i suoi parenti vennero tutti trasferiti in altre città, per proteggere la loro incolumità. Nel 2008 suo suocero, Giuseppe Femia, venne ucciso in casa a Gassino Torinese, in Piemonte, in circostanze mai chiarite; il fratello Marcello andò a vivere a Pesaro per la prima volta nel 2008, insieme alla moglie e ai tre figli, per poi spostarsi in Francia e tornare di nuovo a Pesaro solo tre anni fa. Viveva in una casa di proprietà del ministero dell’Interno ed era sottoposto a un sistema di sorveglianza, ma aveva continuato a usare i propri nome e cognome. Non aveva precedenti penali e secondo il Corriere della Sera «aveva espresso, anche ufficialmente, la decisione di allontanarsi dal programma di protezione».

Il fatto che l’identità dell’uomo non fosse nascosta, secondo il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, non sarebbe un’anomalia: «quando il rischio del familiare non è considerato troppo alto si può ritenere sufficiente spostarlo dal luogo in cui agisce tipicamente l’organizzazione», ha detto in un’intervista al Fatto, aggiungendo però che «qualcosa potrebbe non aver funzionato» nel programma di protezione. Intanto, dopo l’omicidio del 25 dicembre, tutti i componenti della famiglia Bruzzese sono stati trasferiti in altre località segrete.