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Benedetto Accolti: il cardinale che tenne viva la visione imperiale nell’Italia del Rinascimento

by La Redazione
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Roma, 18 nov – Benedetto Accolti nacque ad Arezzo nel 1497 da una famiglia di patrizi aretini. Dopo la laurea in giurisprudenza ottenuta a Pisa venne assunto, alla giovane età di 18 anni, alla corte papale e da lì la sua carriera fu sfolgorante.
Grazie all’influenza della sua famiglia presso Papa Leone X, ottenne prima il vescovato di Cadice ed in seguito l’arcivescovato di Ravenna (di cui poco dopo divenne cardinale). A 35 anni divenne legato della marca di Ancona dove instaurò un proprio dominio personale. Entrò presto in aperto contrasto col nuovo Papa Paolo III Farnese che lo fece arrestare e processare con l’accusa di “malgoverno” spogliandolo del feudo di Ancona ed esiliandolo dalla capitale pontificia.
Iniziò così il peregrinare del cardinale di Ravenna in varie città dell’area padana e toscana. Fu gradito ospite degli Este a Ferrara, dei Gonzaga a Mantova e di Cosimo de’ Medici a Firenze. Queste destinazioni non furono affatto casuali: si trattava dei più giovani e fedeli agenti dell’imperatore Carlo V in Italia. Fin dai primi anni nella corte papale infatti, Benedetto Accolti aveva coltivato amicizie con ambasciatori imperiali e cardinali come Ercole Gonzaga, fedelissimo alla causa di Carlo V e aperto avversario della politica dei Farnese (improntata ad un orientamento filo-francese). Accolti e Gonzaga svilupparono persino un codice cifrato nelle loro comunicazioni per evitare che spie e messi papali potessero mettervi le mani.
Il cardinale di Ravenna non tornò più a Roma per il resto dei suoi giorni, nonostante più volte venne richiamato da Paolo III perché riprendesse il suo posto nella curia. Si spense a Firenze nel 1549 ed il suo ospite, oltre che collaboratore, Cosimo de’ Medici si premurò di nascondere o distruggere i carteggi del Cardinale che avrebbero potuto incriminare il loro schieramento.
Benedetto Accolti e i suoi sostenitori furono, nel XVI secolo, l’emblema di quel nuovo schieramento ghibellino pronto a tutto (anche alla lotta armata, come specifica parte dei loro carteggi) pur di rendere di nuovo centrale l’Italia in una visione imperiale che già Dante, oltre duecento anni prima, aveva annunciato. La loro militanza per Carlo V non va interpretata come servilismo ad una potenza straniera, bensì come la speranza di una nuova unità europea, grazie ad una guida imperiale che tornava a vedere in Roma (ovviamente prima strappata al dominio temporale della Chiesa) il suo fulcro.
Marco Scarsini

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