Jasmine Trinca e l’amore impossibile fino a venerdì 16 novembre all'Arena del Sole

L’attrice al debutto sul palco con ‘La maladie de la mort’ della Duras

Jasmine Trinca sul palco dell'Arena

Jasmine Trinca sul palco dell'Arena

Bologna, 12 novembre 2018 - A un'opera letteraria così hanno messo le mani tutti i grandi: Peter Handke nell’86 l’ha portato in scena a Berlino prima di farne un film; Bob Wilson dieci anni dopo ha realizzato una memorabile edizione teatrale con Michel Piccoli e Lucinda Childs; Fanny Ardant non ha resisto alla tentazione di interpretarla sul palcoscenico parigino della Madeleine diretta da Bérengère Bonvoisin. Perché la profonda esplorazione dell’intimità che Marguerite Duras traccia nel racconto La maladie de la mort (1982) attraverso l’impossibilità di amare di un uomo e di una donna costituisce materia davvero magmatica e attuale. È adesso in tournée in Italia (lo vedremo all’Arena del Sole da martedì a venerdì sempre alle 21) lo spettacolo realizzato da una imponente rete produttiva europea (ne fa parte anche Ert) firmato dalla trasgressiva regista britannica Katie Mitchell. Partendo dall’adattamento di Alice Birch, gli incontri fra un uomo e una donna in una stanza d’albergo diventano così set cinematografico. Ci son ben tre telecamere che seguono morbosamente in presa diretta le relazioni dolorose fra i due protagonisti (Laetitia Dosch e Nick Fletcher) per mostrare su un grande schermo, tra voyeurismo e pornografia, il Maschile e il Femminile. «Volevo – ha dichiarato la regista – offrire qualcosa che sapevo essere al di fuori di uno spettacolo teatrale normale».

In un angolo, racchiusa all’interno di una cabina di regia, Jasmine Trinca in veste di narratrice italiana ci guida fra gli enigmi e le suggestioni della vicenda. Lo spettacolo, vietato ai minori di 18 anni, ha infatti i dialoghi in lingua francese con sottotitoli. Per la pluripremiata attrice cinematografica (è stata di recente la sorella di Stefano Cucchi nel film Sulla mia pelle, è presente nelle sale con Euforia di Valeria Golino e sta girando Croce e delizia accanto ad Alessandro Gassmann) si tratta del debutto teatrale assoluto.

Dopo le prime repliche torinesi e romane, ha deciso se continuare o meno a fare teatro in futuro?

«Devo dire che già il fatto che ogni replica sia diversa dall’altra per una che non ha esperienza nel settore è intrigante e spaventoso al tempo stesso. La cosa mi ha fatto capire però come il teatro offra ad un attore il vero carburante. Essere soltanto lettrice in uno spettacolo così complesso rappresenta per me una giusta mediazione. Più avanti potrei incontrare anche un classico purché accompagnato da una lettura registica innovativa».

Che tipo di spettatrice è?

«Curiosa. Sono attratta soprattutto dal nuovo e dalle proposte internazionali. Trovo ad esempio molto forte la contaminazione dei linguaggi creati da Katie Mitchell».

Conosce bene il patrimonio letterario della Duras?

«Confesso con umiltà di essere una lettrice debole ma di aver sempre ammirato la sua scrittura. Sono stata una spettatrice incantata del film Hiroshima mon amour di Alain Resnais di cui la Duras ha curato soggetto e sceneggiatura, ho visto L’amante di Annaud tratto dal suo romanzo. E quando ho ascoltato la mia collega lettrice francese Irène Jacob nell’edizione dello spettacolo originale ho capito che questo è un linguaggio che va custodito».

È imbarazzata dalle questioni erotiche poste dal testo?

«Un’attore deve avvicinarsi e contaminarsi con ogni argomento. Lo spettacolo in realtà non parla di erotismo ma della difficoltà di quell’erotismo. Affronta la questione del potere dell’uomo che paga una professionista del sesso per aver accesso al suo amore e alla sua anima».

Dopo il teatro che farà?

«Un paio di film con registe donne, Chiara Malta e Giorgia Farina. Per una strana coincidenza è un momento felice in cui mi trovo a lavorare per lo più con donne. È un tempo pieno di opportunità».

La sua carriera è stata accompagnata spesso da scelte coraggiose. Erano sempre necessarie?

«Io già come persona avverto la sensazione di non dover mai stare in equilibrio e mettermi in discussione. Sono stata felice di aver interpretato la sorella di Stefano Cucchi non solo perché è un film che mi corrisponde ma perché il mio lavoro è fatto di testimonianze».

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