Bologna, al Mast arriva la mostra Pendulum

Oltre 250 fotografie firmate da 65 artisti. "merci e persone in movimento". L'esposizione fino al 13 gennaio

L'inaugurazione della mostra al Mast (foto Schicchi)

L'inaugurazione della mostra al Mast (foto Schicchi)

Bologna, 4 ottobre 2018 - C'è un'opera che forse più di altre riassume il senso della mostra fotografica che al Mast si inaugura oggi. È lunga sette metri, la firma Richard Mosse, s’intitolata Skaramaghas e ritrae centinaia di container fermi in un’area portuale. L’immagine documenta da un lato il massiccio trasporto di merci su rotte conosciute e dall’altro svela come quei cassoni siano stati adibiti anche ad abitazioni di migranti in attesa di mete ancora ignote.

Spiega il curatore Urs Stahel: «Da decenni assistiamo alla crescente accelerazione dei processi economici che oggi toccano livelli vertiginosi. Ebbene, il solo fenomeno che ci spinge a rallentare il passo è quello delle migrazioni. Le uniche barriere esistenti sono quelle che frenano i perdenti della modernità».

Insomma, un’unica immagine per raccontare una società divisa metaforicamente dal dissidio fra il rombo dei motori e la lentezza dagli ultimi.

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Sono tanti altri ancora gli stimoli da cogliere nelle oltre 250 foto storiche e contemporanee di 65 artisti di tutto il mondo che compongono la mostra Pendulum (fino al 13 gennaio), il cui sottotitolo Merci e persone in movimento dice già tutto.

Il materiale esposto è frutto di una selezione della ricca collezione del Mast che racchiude fotografie, installazioni video e photo-album sul tema dell’industria e del lavoro. Si vedono maestri di fama internazionale come Robert Doisneau, David Goldblatt e Mario De Biasi ma anche giovani talenti quali Richard Mosse, Ulrich Gebert e Sonja Braas. Un insieme di punti di vista utili a riflettere in primo luogo sulla questione della velocità, il fattore che più condiziona il nostro mondo imprigionato in un continuo loop: produzione, trasporto, vendita, cessione, delocalizzazione, fusione e così via ripartendo dall’inizio.

Il titolo della mostra cita lo strumento che simboleggia il moto perpetuo e che quindi allude al perenne scambio di merci, promesse, dati e denaro. «Ma il suo oscillare – aggiunge il curatore – è anche sinonimo di cambiamenti improvvisi di opinione, di convenzioni che si ribaltano». Un moto che scandisce la forza con cui sono state progettate navi, camion e autostrade digitali ma che simboleggia pure il ruotare dell’uomo attorno se stesso.

Sulle pareti del Mast scorrono l’imponente trittico che Luciano Rigolini ha dedicato al feticcio-auto e l’installazione composta da 736 stampe digitali di Annica Kerlsson Rixon sui truckers mentre Ulrich Gebert e Xavier Ribas elaborano complesse installazioni sul tema del nomadismo.

C’è tanto bianco e nero in mostra (toccante quello di Mimmo Jodice), tanta meccanica e tanto disagio esistenziale. Helen Levitt coglie in intensi ritratti i pendolari delle metropolitane degli anni ‘70 così come David Goldblatt spiega in immagini cupe cosa significhi fare ogni giorno quattro ore di bus per andare al lavoro (e quattro per tornare).

A queste foto fanno da contraltare le sette installazioni video di Jacqueline Hassink, che illuminano pendolari dei giorni nostri in altrettante città del mondo. Tutti sono immersi, fra tablet e telefonini, in un perenne viaggio virtuale. E non hanno un’espressione più felice.

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