Modena, boom di clienti per l'hotel in stile casa di tolleranza

Dopo l’ipotesi del governo viaggio al 'Villino della flanella', l’albergo che conserva mobili e foto

Claudio Camola, proprietario dell’albergo ‘Villino della Flanella’

Claudio Camola, proprietario dell’albergo ‘Villino della Flanella’

Modena, 3 marzo 2019 - Boutade politica o qualcosa di più concreto, l’ipotesi del governo di rivedere la legge Merlin (correva l’anno 1958) e così riaprire le case di tolleranza è tornata a farsi chiacchierata nei bar. Pochi ricordano, e forse altrettanti sanno, che la nostra città conserva a due minuti d’auto dal GrandEmilia una testimonianza unica nel suo genere di un ‘casino’ d’inizio secolo scorso. Si chiama ‘Villino della Flanella’, si trova in strada Viazza di Ramo ed è un albergo a tre stelle, ricavato all’interno, appunto, di una villa che al secondo piano mette in fila dodici porte.

Nato nel 2005 e al centro di una duratura diatriba sulla veridicità (più volte messa in dubbio) del fatto che proprio lì dentro dal ’45 al ’48, ma anche prima della guerra, abbiano effettivamente lavorato maitresse e prostitute, di fatto il ‘Villino’ ripropone con mobilio originale e foto d’epoca quel clima che si respirava dentro una casa di tolleranza. Ovvio: è solo un ricordo, una rivisitazione, ma efficace al punto da attrarre turisti d’ogni dove. Maitresse e donnine restano confinate nel bianco e nero dentro le cornici. Ideatore e proprietario è Claudio Camola, conosciuto in città soprattutto, ma non solo, per essere l’oste de ‘La Piola’ (si trova accanto all’albergo).

Claudio Camola, proprietario dell’albergo ‘Villino della Flanella’
Claudio Camola, proprietario dell’albergo ‘Villino della Flanella’

«Rivedere le case chiuse in Italia? Personalmente sarei favorevole – dice l’eccentrico albergatore ricordando le difficoltà ad aprire l’albergo quasi quindici anni fa –, ma oggi nulla avrebbero a che vedere con ciò che un tempo erano i ‘casini’. Io li ricordo molto bene; quando nel 1958 chiusero anche a Reggio Emilia, perché a Modena questo avvenne dieci anni prima della Merlin, fui tra quelli che inscenarono un vero e proprio funerale in strada. Erano luoghi unici, dove incontravi, magari il tuo professore o un parente. Niente schiavitù, nulla a che vedere con la prostituzione di oggi». Cimeli di quella prima metà del Novecento se ne trovano diversi al ‘Villino’, tra i tariffari d’epoca fascista o il mobile in legno dove venivano esposte le foto di chi avrebbe esercitato nei successivi quindici giorni (si chiamava proprio ‘quindicina’, perché dopo quel lasso di tempo la prostituta doveva per forza cambiare location).

«Le maitresse – continua Camola – erano come delle rezdore, nel senso che erano vere e proprie padrone di casa; se necessario, intervenivano con forza in caso di liti tra le prostitute al lavoro, ma poi si occupavano delle giovani come fossero delle vere madri. Altri tempi, che ho voluto conservare qui dentro. Attualmente non saprei – aggiunge il proprietario del Villino – come lo Stato potrebbe regolare un ambiente come quelli dell’epoca. Credo che per il Paese sia più semplice guadagnare dalle sigarette che passare da lenone. Paradossalmente all’epoca di luoghi come questo la prostituzione era meno diffusa rispetto ad oggi e soprattutto era regolamentata, anche dal punto di vista sanitario».

Dal 2005 le prenotazioni nell’insolito albergo non sono mai mancate, le recensioni sul web ne sono testimonianza più immediata. Il mix di stile Liberty e salto in un’epoca che non c’è più, funziona. Ma Camola non nasconde di essere pronto a vendere: «Ho lavorato tutta la vita e questo luogo non saprei a chi lasciarlo. Se si presenta l’offerta giusta, vendo la villa e i terreni e vado a vivere ad Asmara».