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Gravina: «Adesso basta, i conti delle società di calcio vanno controllati applicando i principi di rating»

Parla Gravina, n.1 della Lega Pro vDue anni fa presentai un codice di controllo, è stato accolto con ironia Mentre la Premier lo vuole approfondire»

19 Luglio 2018 - 09:15

Gabriele Gravina non è solo il presidente della Lega Pro. Insegna anche economia aziendale all'Università di Teramo. Ed è stato presidente di una squadra di calcio, il Castel di Sangro dei miracoli, un paese di 5000 abitanti che arrivò in B. Conosce in maniera completa i meccanismi del calcio, in particolare quelli legati alla gestione dei club. Argomento di stretta attualità alla luce dei tanti fallimenti di questo periodo dell'anno.

Lunedì sono sparite due società di Serie B e due di C. Qual è la sua valutazione?
«Provo un pizzico di amarezza, accompagnato a delusione. Amarezza nel vedere sparire società con un passato importante. E trovo curioso che in B falliscono due squadre proprio ora, quando la serie cadetta vive un periodo florido dal punto di vista economico».

E la delusione?
«La delusione è che noi come Lega Pro continuiamo a sostenere che i vecchi principi non sono più idonei a monitorare la correttezza dei requisiti economici delle società. Da quest'anno noi abbiamo avviato una sperimentazione che ha portato risultati eccellenti. Si tratta dell'applicazione dei principi del rating alle società calcistiche. È un codice di autoregolamentazione che permette di valutare l'indice di pre-fallibilità delle società».

Ha basi scientifiche?
«Certo che sì, perché si tratta dell'applicazione del modello di Altman dello Z-score. Ci permette di sapere con anticipo se una società è in grado di andare avanti o no. Un sistema che aiuta la gestione societaria. È finito il tempo del ‘poi vediamo'. Non si possono continuare a ignorare i problemi solo per continuare a fare andare avanti il baraccone, magari chiudendo un occhio sulle gestioni».

L'avete presentato alle altre componenti e alla Figc?
«Sì, due anni fa, ma è stato accolto con ironia. Tranne poi constatare che dopo averlo presentato all'estero, la Premier League ci ha chiesto di approfondire. Si tratta di un modello che rende credibile nell'economia di un Paese una determinata area economica, in questo caso il calcio. A me dispiace che una proposta così sia stata accolta con lo scetticismo di chi si considera superiore. Io non voglio dare lezioni a nessuno».

Di che soffre il calcio italiano?
«C'è un problema legato alla cultura della gestione. Capisco che il problema sono le risorse, ma altrettanto importante è quello della cultura della gestione, senza la quale le risorse non potranno mai fruttare. Il problema non è quanti ricavi in più hai, ma come vengono gestiti. Il calcio deve puntare su obiettivi diversi. Le criticità devono essere guidate».

In questa situazione che cosa pensa dell'operato della Figc?
«Ho scritto ripetutamente al commissario, chiedendo la modifica del Noif (Norme Organizzative Interne della Federcalcio, ndr), relative alle iscrizioni. Una società non può presentare solo la richiesta d'iscrizione senza portare i pagamenti dei contributi, degli stipendi, della fideiussione. Eppure, a queste società, si dà la possibilità di fare ricorso. Sulla risposta di Fabbricini preferisco sorvolare. I problemi non sono di una sola Lega, ma di tutto il calcio italiano. Di un movimento che se continua a non guardare in faccia la realtà salterà anche il prossimo Mondiale».

Cosa pensa del commissariamento della Figc?
«Giudico negativo il principio del commissariamento. Non mi permetto di esprimere una valutazione del lavoro di Fabbricini. Mi rammarico solo di essere stato escluso, io come le altre componenti, dal processo di rifondazione del nostro calcio. Ce lo siamo meritato, ma abbiamo ammesso in maniera chiara le nostre colpe. Perché continuare a punirci?»

Tornando ai giorni dell'elezione mancata del presidente della Figc, c'è qualcosa che cambierebbe?
«Sicuramente. Cambierei la mia risposta a Sibilia, trasformando il no che fece saltare tutto in un sì».

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