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«La mafia si azzera con la mentalità»

Il direttore della Dia al liceo D’Oria avverte del pericolo reale in Liguria e auspica maggiore sensibilità

Annalisa Rimassa
3 minuti di lettura

Annalisa Rimassa

«La lotta alla mafia si fa senza “se” e senza “ma”. Come agirono i Romani quando vollero distruggere Cartagine: la rasero al suolo». Senza preamboli o giri di parole il generale Giuseppe Governale, direttore della D.I.A (Direzione Investigativa Antimafia) a larghi passi misura l’aula magna del liceo classico D’Oria. E ai ragazzi spiega come e perché il suo lavoro debba essere in realtà quello di tutti, una guerra da combattere contro una sorta di malattia sistemica capace di infettare in più punti un organismo, il Paese, silente: «Alle operazioni di polizia e di investigazione - continua il generale - soprattutto serve la metalità giusta». Un codice di comportamento che, in sintesi, si compone come un convincente mosaico: lo Stato che deve risolvere la questione meridionale, fornire risposte tempestive, non farraginose o in burocratichese a chi si trova in difficoltà.

E noi? chiedono innumerevoli sguardi oltre le felpe, gli occhiali e i quaderni. Noi che cosa dobbiamo o possiamo fare? Non essere individualisti, recuperare il senso dello Stato e della famiglia e credere. Credere che la mafia esiste, insiste il generale, alla faccia di chi l’ha scoperta soltanto dopo l’omicidio del grande magistrato Giovanni Falcone: ucciso nel 1992 con una devastante esplosione in autostrada all’altezza di Capaci, in Sicilia.

È questo uno dei tanti esempi di come simili organizzazioni siano fenomeno antico, sottovalutato, conseguenza di uno Stato, osserva il relatore, che non ha dimostrato la necessaria sensibilità al problema. Nell’aula magna, il silenzio è perfetto.

E gli esempi di morti amazzati, nomi e date in rapida successione, a viva voce sono elencate da Governale, partono dal Settecento e arrivano ai giorni nostri agli attentati noti e quelli poco ricordati, fino ai 60 sindacalisti uccisi fin ad ora in Sicilia, la terra del superinvestigatore.

“La mafia teme più la scuola o la giustizia?” è il tema dell’incontro nel liceo di via Diaz. Si trattava di spiegare che cosa sia la mafia oggi e perché abbia senso combatterla a partire dalla scuola. Sotto al porticato di un liceo nato nel 1824, si diffonde la lezione tra storia, politica e sociologia. Di fronte ai figli di una città, Genova, che poco meno di un mese fa si è ritrovata l’infiltrazione mafiosa tra le attività connesse al cantiere Morandi, su cui cade una massima attenzione; in una Genova che, rammenta il generale, - quarant’anni di esperienza nell’Arma, incarichi direttivi a partire dagli anni’80 e comandante dei Ros e comandante della Legione Carabinieri Sicilia -, ha tenuto alti i valori della Resistenza. questa città ora è oggetto di preoccupazione.

La mafia c’è, in Liguria, e si attesta in quattro aree: Genova, Ventimglia, Sarzana e Lavagna, (il Comune che fu sciolto per ’nrdrangheta nel 2106). Esiste, precisa Governale e vive di riciclaggio, a esempio, e dall’Europa al Canada è alla ricerca di terreni dove installarsi controllando come è scritta la legislazione antimafie e quanto resiste la capacità di corruzione.

Lunghi applausi coronano la conferenza. La dirigente Mariaurelia Viotti:«Crediamo sia fondamentale educare i più giovani a una cittadinanza attiva. E non a caso il nostro liceo ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica per l’impegno sul tema della legalità».

Tempo ce ne sarà poco. Dal Settecento Ottocento in poi, dalle relazioni di quei secoli in cui già si descriveva la mafia in Sicilia, ai negazionisti a coloro che, come il boss di Cosa Nostra Luciano Liggio, di “mafia” rammentava soltanto l’accezione antica che significava “di bellezza”. E non è un mero fatto linguistico. E poi, Falcone, Borsellino, lo Stato supino e la svolta necessaria: diffondere la mentalità anti mafia partendo dai giovani, mostrando sensibilità appannata nei secoli scorsi.

«Del resto - chiosa la preside Viotti alludendo all’impegno nelle scuole di Governale - come scriveva Sciascia nel suo “Candido” (1977): Tutto quello che vogliamo combattere fuori di noi è dentro di noi; e dentro di noi bisogna prima cercarlo e combatterlo».

È proprio lo scrittore morto nel 1989 ad ispirare l’amara constatazione valida anche per la Liguria: negli anni Sessanta, cita Governale, lo scrittore avvertiva del fatto che la mafia ogni anno si stava alzando verso nord di cinquecento metri. Oggi quella linea di gran lunga ha superato ogni previsione. L’impeto nel parlare ai ragazzi è giusto. Le ultime ricerche, sia a cura di Libera l’onlus di don Ciotti, sia dell’associazione intitolata a Pio La Torre, hanno appena accertato che i giovani italiani spesso hanno una percezione delle mafie al pari di un fenomeno che origina soprattutto nel Sud sovrapponibile alla politica prettamente centrale. Si pensa a Roma e non a Imperia, a Palermo ma non a Milano o Torino quando si tratta di delineare associazioni a delinquere di quello stampo. «Il motivo di quel pensare - ragiona il generale - è sempre nella mancanza di sensibilità. Anche Falcone che ebbe il grande merito di riorganizzare le procure nella lotta, lo diceva sempre: parlatene, parlatene nelle scuole e ai giovani. La mafia esiste».

Info: direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it, docente D’Oria Alessandra Bertolotto —

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