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Il Philadelphia Museum of Art cresce con Gehry e diventa piazza

di Sara Dolfi Agostini

4' di lettura

Philadelphia è la nuova New York? Stando ai giornali americani – da Business Insider al New York Times – non c'è più dubbio: la città si sta trasformando sotto l'impulso di una nuova generazione di sognatori cosmopoliti che a New York non ha più spazi o capacità di esprimersi, almeno finchè una camera in un appartamento in condivisione a Bed-Stuy, il quartiere “low-cost” degli artisti a Brooklyn, vale 1.000 dollari al mese. Sono loro, che contrariamente a chi li ha preceduti, alle periferie rurali di Beacon e Hudson nell'Upstate – ricche di musei privati come Dia , Magazzino e il nuovissimo Storm King - preferiscono l'atmosfera metropolitana di una città storicamente importante.
Philadelphia, infatti, è la città simbolo della democrazia e dell'indipendenza americana, polo universitario, epicentro culinario – l'Italian market è ancora un punto di riferimento – il tutto a un'ora e venti minuti da Penn Station, nel cuore di Manhattan. Ed è così che in poco meno di dieci anni si è lasciata alle spalle la nomea di città povera e sottovalutata, e il suo patrimonio architettonico e culturale è diventato protagonista di una rinascita immobiliare che giustappone storia e personalità a un'ambizione verticale, come dimostrano le nuove torri Comcast dell'architetto inglese Norman Foster che dominano lo skyline.

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A Philadelphia l'arte è di casa, e non solo nelle celebri fondazioni private, come la Barnes Foundation , con la sua collezione imperdibile di opere impressioniste e post-impressioniste. La scorsa primavera l' ICA , ad esempio, è stato il primo museo in America a ricevere la certificazione W.A.G.E. - Working Artists and the Greater Economy - per il rispetto delle condizioni lavorative degli artisti, e di recente è stato il beneficiario di una donazione da 3 milioni di dollari dei collezionisti Daniel e Brett Sundheim che sarà impiegata per progetti educativi e di impegno civile. E poi c'è la street art, che a Philadelphia si intreccia con la tradizione di dipingere le pubblicità sui muri degli edifici. Nel 2010 Steve ESPO Powers ha prodotto cinquanta murales visibili dalla metropolitana sopraelevata Market/Frankford El: lettere d'amore a un'ipotetica ragazza le cui immagini sono diventate nuove icone – o cartoline – di Philadelphia.
In questa scena sempre più vivace si è inserito anche il Philadelphia Museum of Art (PMA) con un progetto annunciato nel 2006 che consiste in una collaborazione con Frank O. Gehry per il restauro e l'espansione degli spazi del museo, pensando al futuro. L'architetto canadese è certamente tra i più visionari, iconici, talvolta anche controversi pensatori del panorama contemporaneo. I suoi progetti museali hanno portato il decostruttivismo al limite - dal Vitra Design Museum di Basilea (1989) al Guggenheim di Bilbao (1997) e alla Fondation Louis Vuitton di Parigi (2006) – limitando certo la funzionalità degli spazi ma restituendo in cambio una scultura urbana. Adesso, mentre si avvicinano al completamento due nuovi musei firmati interamente da Gehry, il Guggenheim Abu Dhabi e la Luma Foundation di Arles, si scoprono anche i primi dettagli del progetto di ristrutturazione del PMA, che vede l'architetto nel ruolo inaspettato di un conservatore.
Al Philadelphia Museum of Art gli interventi di riqualificazione risalgono agli anni '50 e '70, quando vengono aggiunti un nuovo auditorium e un primo ora obsoleto sistema di climatizzazione. “Ma l'auditorium fu un clamoroso errore dal punto di vista architettonico, perché inserito al centro della pianta del museo, e da allora i visitatori che accedono dagli ingressi est e ovest del PMA si trovano davanti un muro che li disorienta e rende difficile la circolazione tra le varie mostre” racconta Jane Lawson-Belle, manager per il progetto di ampliamento del PMA. Così Frank O. Gehry, incaricato di ripensare l'edificio del PMA nel 2006, ha deciso di ripristinare la struttura originale ideata quasi cento anni fa in perfetto stile neoclassico.
Cosa ci sarà dunque al posto dell'auditorium? “Il forum, una piazza polifunzionale puntellata da alcuni elementi iconici di Gehry come la scalinata di collegamento tra i diversi piani del museo” spiega Lawson-Belle, e aggiunge: “la demolizione dell'auditorium ci darà anche la possibilità di accedere a un meraviglioso spazio a volte sotterraneo, usato per anni come magazzino nonostante rappresenti un pezzo di storia americana”. Le piastrelle, infatti, sono le stesse usate per la metropolitana e Grand Central Station a New York. Questo spazio sarà riaperto progressivamente e accoglierà spazi didattici, spazi ristorazione, caffetteria e un negozio situato accanto alla nuova entrata nord del museo. Il primo appuntamento, con il ristorante, è il prossimo 16 ottobre.
Il PMA del futuro costerà 196 milioni di dollari e aggiungerà circa 8.000 metri quadri, di cui 2.000 saranno nuovi spazi espositivi per un museo che conta oltre 240mila oggetti e opere in collezione tra cui i Girasoli di Vincent Van Gogh (1888/89), i Grandi bagnanti di Cezanne (1900/06), il bacio di Constantine Brancusi (1916) e alcune tra le opere più rilevanti di Marcel Duchamp – tra cui il suo nudo che scende le scale n.2 (1912) e Il Grande Vetro (1915-23). La data di completamento del progetto è fissata per il 2020, ma i visitatori continueranno ad accedere al museo, alcuni neanche si accorgeranno del cantiere. “Ogni metodo di scavo utilizzato è stato testato e verificato affinchè le vibrazioni non danneggino le opere d'arte conservate nel museo” spiega Jane Lawson-Belle. Non male per un museo che attrae circa 800mila visitatori all'anno, conta 46mila soci e 750mila followers sui social media, da Facebook a Twitter e Instagram.

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