intervista

Massimo Roj: dall’Emilia alla Cina con funzionalità, flessibilità e fantasia

di Evelina Marchesini

L’architetto Massimo Roj

4' di lettura

«Dobbiamo davvero concentrarci sul tema dei cambiamenti mondiali per delineare una modalità d’azione. Gli architetti progettano il futuro e il futuro sarà molto diverso da oggi. Gli edifici e le città del domani che noi pensiamo oggi sono i luoghi i cui vivranno i nostri figli e nipoti, alle prese con un clima in rapida evoluzione e risorse energetiche sempre più scarse».

A parlare è Massimo Roj, fondatore e presidente di Progetto Cmr, a Chengdu per la Western China International fair dove l’Italia era ospite d’onore alla presenza di 60mila partecipanti. Massimo Roj per l’occasione ha progettato i 1.200 mq espositivi dedicati all’Italia e affiancato la delegazione italiana, rappresentata tra gli altri da Luigi Di Maio: progetto Cmr si sta occupando dei masterplan China-EU Future City a Shenzhen (4.622.000 mq) e Xiantao Big Data Valley a Chongqing (un IT park di 700mila mq di ultima generazione), il primo Slow, Smart, Eco Village nel mondo.

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Quali sono dunque le sfide, oggi, della professione di architetto?
La sostenibilità non è solo un tema relativo alla tecnica, quindi realizzare un green building, ma tutto nasce dal sociale, che è l’elemento fondamentale. È ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno, qualcosa che risponda alle nostre necessità, le quali cambiano di continuo. Sta a noi architetti, per quanto riguarda lo sviluppo edilizio e urbano, assorbire tali cambiamenti e trasferirli nei progetti. Con il problema, peraltro, di avere a che fare con sistemi normativi che, giocoforza, sono già vecchi oggi, figuriamoci per il mondo di domani.

Riesce a farci qualche esempio pratico?
Assolutamente sì. Per esempio abbiamo sviluppato un software che serve a calcolare le isole di calore negli ambiti urbani. Serve a misurare le situazioni dei carichi termici prodotti dalle persone, dalla mobilità, l’irraggiamento diretto e così via. Questo strumento ci fornisce delle indicazioni su come organizzare quello spazio.

Avete già applicato queste indicazioni a qualche progetto?
In Asia, nei progetti che abbiamo in corso, siamo partiti da queste simulazioni che ci dicono come saranno le temperature fra 10 o 15 anni perché non si può più progettare con le indicazioni attuali. Se la temperatura media cambia di quattro o cinque gradi e non si trovano soluzioni già nella progettazione, il carico futuro di raffreddamento o riscaldamento avrà un impatto enorme in termini energetici. L’utilizzo delle fonti rinnovabili è essenziale, ma non l’unica via, basti pensare all’orientamento degli edifici per sfruttare venti od ombre e così via. Ma il punto è che tutti dobbiamo progettare in questo modo, altrimenti non serve a nulla.

Come si fa?
Lo ripeto da anni: occorre programmare per poi pianificare e progettare. In Italia non ci riusciamo, ma all’estero si fa. Per esempio sono appena tornato dal Vietnam, dove ero stato nel 2008. L’allora sindaco di Hanoi ci presentò il piano venticinquennale strategico dello sviluppo della città e su questo hanno poi fatto i piani urbanistici, che stanno attuando. Da allora sono passati due sindaci, quello attuale è il terzo e i piani vengono rispettati, non cambiati a ogni nuova amministrazione. Stanno realizzando cinque città-satellite e probabilmente due di queste ci vedranno protagonisti, una da 380mila abitanti, una da 127mila.

Un termine da non dimenticare quale dovrebbe essere?
Ibridazione, sembra una brutta parola ma è fondamentale e si basa sulla flessibilità degli spazi, la casa diventa ufficio, l’ufficio diventa residenza temporanea, albergo, spazio commerciale, in un continuo cambiamento. Anche qui con grandi limiti normativi. Oggi per esempio viene richiesto il posto auto obbligatorio, ma tutti sappiamo che in dieci anni le auto private nelle città sono destinate a scomparire per lasciare il posto a quelle condivise. Un’altra parola è “qualità”, anche se può suonare banale. Gli architetti devono usare la loro fantasia e competenza per puntare sulla qualità della vita. E devono essere pagati adeguatamente per il loro lavoro.

Una polemica?
Una realtà. La guerra agli onorari non porta da nessuna parte, perché un bravo professionista, in tutti i campi, alla fine ti fa risparmiare, dandoti un servizio o un prodotto migliore. La parola d’ordine deve poi essere sperimentare, abbiamo visto al Forum di Scenari Immobiliari un architetto indiano che utilizza la terracotta e gli strumenti di una volta. Gli edifici degli antichi Romani hanno 2000 anni ma resistono e avevano un sistema di ventilazione naturale, per esempio. Progettare il futuro non vuol dire ignorare il passato.

Come si lavora in Italia oggi?
Noi siamo soddisfatti, solo a Milano abbiamo più di dieci palazzi in costruzione, ma stiamo lavorando anche a Verona, Padova, Bergamo, Roma con tre cantieri. A Milano stiamo finendo il cantiere Bocconi, il primo edificio è stato inaugurato poche settimane fa e gli altri quattro edifici arriveranno a breve. Poi abbiamo i tre palazzi di Beni Stabili, i due edifici di Santa Giulia, la trasformazione di un ex cinema per una banca. E la nostra nuova sede.

Dove?
Non abbiamo ancora comunicato niente, ma è di fianco allo Iulm, una palazzina industriale che stiamo trasformando in uffici flessibili con una certificazione alle persone.

Cosa significa?
Non si certifica l’edificio, ma la qualità della vita delle persone nell'edificio, una certificazione Well, che stiamo seguendo anche negli edifici di Santa Giulia.

Quali sono le vostre dimensioni oggi?
Siamo 115 a Milano, poi ci sono due nuove società fatte l’anno scorso, tra cui Sportium dedicata agli impianti sportivi, tra i temi più interessanti in questo momento, con cui abbiamo vinto la gara per il progetto dello stadio di Cagliari. Stiamo poi lavorando anche alla nuova arena di Reggio Emilia, WeArena, spazio coperto per eventi non solo sportivi, vicino alla stazione dell'Alta velocità.

Cosa consigliare a un giovane che aspiri a diventare architetto? Di farlo o no?
È una professione stupenda, in grado di dare gioie immense, non ripetitiva, quindi assolutamente sì. Ma bisogna farlo in modo “profondo”, con esperienze internazionali e cercando risposte al di là del segno grafico. Sono le tre “f”: funzionalità, flessibilità e fantasia.
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