Societa

La Cina ridimensiona il Pil, non le ambizioni

di Adriana Castagnoli

Pechino (Afp)

3' di lettura

La crescita economica della Cina, per quanto ancora forte, ha rallentato e gli analisti prevedono che si indebolirà ulteriormente nel 2019. Eppure è probabile che, alla fine, le prospettive dell’economia cinese non saranno molto distanti da quelle volute da Pechino. Dopo tutto, il 2019 è il 70esimo anniversario della Repubblica popolare cinese. E il suo Politburo, all’avvicinarsi di questa scadenza celebrativa, ha fissato come priorità assoluta di stabilizzare l’economia: l’obiettivo non è accelerare la crescita, ma bloccare il rallentamento.

Pertanto sarebbe un errore interpretare il cambio di passo di Pechino come un segno di cedimento che potrebbe compromettere anche le sue mire di potenza globale. La gigantesca economia, l’influenza geopolitica e il potere militare connessi alla sua ambizione in campo scientifico restano intatti. Basti ricordare che la spesa cinese in ricerca e sviluppo si è decuplicata dal 2000 al 2016. I relativi frutti si osservano nei comparti tecnologico-scientifici. Ad aprile il National space science centre ha annunciato il lancio di sei nuovi satelliti entro il 2020 di cui si è avuto un primo assaggio con quello recentemente fatto allunare. Lo spazio è una frontiera che Pechino, dopo anni di catching-up, sta cercando di militarizzare.

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Ma piani ancor più ambiziosi riguardano il campo della fisica, con l’obiettivo di costruire il più grande acceleratore di particelle mai realizzato in grado di sprigionare un’enorme energia, nonché le applicazioni più complesse della meccanica quantistica al calcolo e alla criptografia. Pechino è̀ particolarmente competitiva – e allarmante – nei settori d’avanguardia dell’ingegneria genetica. Inoltre ha pochi rivali nella scienza dei computer e ha continuato a fare ricerche in settori, come i reattori nucleari, che sono stati accantonati dagli altri Paesi.

Peraltro i progressi in campo spaziale come nella realizzazione di grandi infrastrutture hanno dirette implicazioni militari e geopolitiche. Si prenda il caso del Pakistan, uno Stato pur dotato di armamenti atomici. Nel momento in cui Trump annunciava la sospensione degli aiuti militari a Islamabad, il Dragone si inseriva rapidamente, sostituendo gli Stati Uniti. In Pakistan la Cina ha collegato esplicitamente, per la prima volta, i progetti infrastrutturali della Belt and road initiative alle sue ambizioni militari. Il Pentagono ormai si aspetta un esercito cinese che è attivo e in grado di combattere ovunque.

Dietro la spinta alla crescita tecnologica di Pechino c’è una chiara visione strategica che, con “Made in China 2025”, punta a rimpiazzare le importazioni con prodotti nazionali, soprattutto nel settore delle tecnologie avanzate e a fare della Cina il leader mondiale nell’intelligenza artificiale. Il primato delle pubblicazioni scientifiche in questo campo, dopo che i cinesi hanno superato gli Stati Uniti nel 2004, è ancora appannaggio degli enti di ricerca europei, francesi e britannici in testa, ma nei prossimi tre anni potrebbe passare a Pechino.

Secondo l’Ocse, anche se si intravvedono segnali di rallentamento dell’economia globale a cominciare da Usa e Germania, l’economia americana è sempre robusta e quella cinese sembra assestarsi. E ciò malgrado il debito totale di Pechino sia quadruplicato rispetto al 2007, raggiungendo, a inizio 2018, la soglia del 317% del Pil, con un livello di debito pubblico (50,2%) non eccessivo, ma un peso anomalo dell’indebitamento delle amministrazioni locali (17,8% del Pil) e di quello privato e corporate (207% del Pil).

Il ruolo di Pechino come locomotiva della crescita economica globale appare, peraltro, messo in forse da un fattore più strutturale: l’arretramento nella politica di riforme orientate al mercato che, a partire dal 1978 con Deng Xiaoping e altri leader, permisero alle società private di fiorire. Le imprese private sono almeno tre volte più produttive di quelle statali, ma il credito fluisce soprattutto a queste ultime. Pur ipotizzando che tale politica possa minare la fiducia di molti imprenditori nel sistema cinese, resta preoccupante quanto riportato in un policy paper della Bdi, l’associazione degli industriali tedeschi, che descrive la Cina come un concorrente strategico intento a usare tutte le leve e le opportunità del suo sistema autoritario di governance, a cominciare dalla mancanza di protezione dei dati, per guadagnare competitività e supremazia tecnologica sui suoi partner commerciali.

Il trinceramento del capitalismo di Stato con Xi Jinping ha mostrato come l’Occidente si sia già sbagliato una volta a pensare che commerci e investimenti avrebbero portato Pechino più vicina al modello di mercato aperto europeo e americano. Gli effetti distorsivi sulla concorrenza del capitalismo di Stato cinese stanno spingendo adesso la Ue a rivedere le sue regole su acquisizioni e fusioni per dare risposte più vigorose ai competitor stranieri. Ma potrebbe essere già troppo tardi.

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