India

Il risveglio del “pachiderma” indiano

di Ugo Tramballi

Afp

3' di lettura

Come ha fatto il pachiderma a correre così in fretta? Come ha fatto l'India a trasformarsi da simbolo di fame e povertà a modello di crescita economica? Forse 70 anni non sono esattamente un esempio di alta velocità: i cinesi ci hanno messo molto meno. Ma era il partito unico a decidere. I governi indiani l'hanno dovuto fare ottenendo il consenso elettorale, superando le critiche delle opposizioni e il giudizio della stampa di un paese dalle molte etnie e dalle diverse religioni.

La crescita indiana non è stata fissata da risoluzioni del comitato centrale ma da leggi pensate, votate, contestate, riformate. Settanta, più precisamente: 70 leggi che un anno dopo l'altro hanno cambiato l'India povera in un'economia da 2.500 miliardi di dollari. Questo magico cammino umano è stato selezionato e raccontato da Gautam Chkermane, ex giornalista e ora vicepresidente di Observer Research Foundation, Orf, il più importante think tank indiano. Il suo “70 Policies”, una per ogni anno dall'indipendenza del 1947, non è un'elencazione tecnica di norme e di anni ma il racconto dell'India: dall'agricoltura ai servizi, dalle acciaierie all'Information Technology, “dalla penuria al surplus, dalla semplice sopravvivenza agli obiettivi globali”. Per il suo libro Chikermane ha analizzato la Costituzione, ha letto tutti i bilanci dello stato, i 12 piani quinquennali, i rapporti delle commissioni parlamentari. Ma con capacità di sintesi e di narrazione, l'autore descrive, commenta, spiega errori e successi di ognuna delle 70 leggi in sole 350 parole.
La storia economica dell'India è divisa in quattro cicli. Dal 1950 al '65, quando il pachiderma lentamente si sveglia dal torpore nel quale era rimasto nei cento anni di dominazione inglese. Nel recente “An Era of Darkness” lo scrittore e politico Shashi Tharoor ricorda che nel XVIII secolo l'economia indiana era il 23% di quella mondiale; nel 1947, quando gli inglesi se ne andarono, era il 3. Il secondo ciclo economico si sviluppa fra il 1965 e l'80: è quello della relativa stagnazione al 3,4%, la “crescita hindu” - come l'aveva definita Amartya Senvanificata dalla moltiplicazione demografica. Mentre più a oriente altri paesi asiatici acceleravano la crescita, orientandola verso l'export. C'è poi il decennio della “transizione esitante”, come la definisce nella prefazione di “70 Policies” l'ex vice governatore della banca centrale indiana Rakesh Mohan. Infine, dal 1991, le grandi riforme.

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La prima legge del 1947 che Gautam Chikermane analizza, è quella sul controllo dei capitali, in realtà scritta cinque mesi prima dell'indipendenza: stabilisce il poco spazio che il capitalismo privato doveva avere nell'India socialista di Jawharlal Nehru. Importante è anche quella del 1950 che crea la Commissione del Piano che da quel momento “diventa il centro dell'universo politico-economico indiano”. Nonostante socialismo e statalismo imperino, nel 1961 è approvato il lungimirante “Institutes of Technologies Act” che mira a creare istituzioni tecniche sul modello del MIT di Boston.
Spinto da una crisi insanabile, nel 1991 viene presentato lo “Statement of Industrial Policy”. E' il rovesciamento della “Resolution” del 1956, quando lo stato assumeva una “predominante e diretta responsabilità” sulla produzione. Come ricorda Chikermane, è il momento in cui si afferma il potere assoluto della burocrazia: il License Raj, l'impero della carta bollata. Se la “Resolution” del 1956 aveva chiuso l'India al mondo, lo “Statement” del '91 “è l'ambiziosa architettura che ha aperto tutte le porte” e costruito l'India che conosciamo oggi.

Gautam Chikermane, “70 Policies that Shaped India – 1947 to 2017, Independence to USD 2.5 Trillion”, ORF, New Delhi 2018, pag. 192.

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