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Banche, il governo cambia rotta ma Piazza Affari vende ancora

di Luca Davi e Laura Serafini

(Sintesi Visiva)

4' di lettura

Il governo mostra una nuova consapevolezza sul ruolo del sistema bancario nel Paese e sui rischi a cascata che possono derivare dall’inizio di una nuova fase difficoltà. Se un anno fa gli istituti di credito ancora scontavano il peso dei crediti deteriorati, oggi la principale minaccia è esogena: lo spread che erode patrimonio e affossa le quotazioni in Borsa. Dopo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal sottosegretario del governo, Giancarlo Giorgetti, sulla necessità di pensare a ricapitalizzazioni nel caso lo spread superi quota 400, ieri il tema è stato al centro del consiglio federale della Lega a Milano e il vicepremier Matteo Salvini ha voluto ribadire l’impegno dell’esecutivo.

«Abbiamo parlato della situazione economica e delle banche. Nessuna banca salterà quindi se qualcuno pensa di speculare sulla pelle dei risparmiatori e degli italiani, sappia che c’è un Governo e c’è un Paese pronto a difendere le sue imprese, le sue banche e la sua economia, costi quel che costi», ha detto auspicando anche processi di aggregazione se questi hanno «senso economico».

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Le parole di Salvini fanno da controcanto a quelle dell’altro vicepremier, Luigi Di Maio. I 5Stelle hanno l’ostilità verso il sistema bancario nel dna della strategia politica. Ma un conto è lo spirito da Robin Hood che toglie a chi fa soldi per darli ai cittadini, altro conto sono i pilastri fondamentali che sostengono il sistema. Non a caso nella manovra le misure che ingrossano il gettito a spese degli istituti di credito sono state smussate.

«Sostenere le banche non significa prendere soldi dagli italiani - ha vouto rimarcare Di Maio -. La ricapitalizzazione si può fare in tanti modi, ma posso dire che è tutto sotto controllo, siamo molto attenti e vigili alla situazione delle banche e abbiamo contatti diretti ogni giorno con i vari manager per monitorare in tempo reale». Attenzione particolare per Mps: l’intera banca capitalizza in Borsa 1,63 miliardi di euro, meno di un terzo dei 5,4 miliardi spesi dal Tesoro per acquistarne il 68,25%. Leipotesi di un intervento di Poste, per ora, sono solo suggestioni.

La morsa dei mercati sulle banche italiane però non si allenta. Troppe le incertezze sulle possibili mosse dell’Esecutivo e l’impatto futuro sui titoli sovrani, troppo scarsa invece la visibilità degli investitori: da qua la decisione di proseguire un alleggerimento delle posizioni che fino ad oggi - e a partire dal 17 maggio, ovvero dall’annuncio del contratto di governo giallo-verde - è costato il 35% della capitalizzazione. Anche ieri i titoli del credito hanno dunque perso terreno: all’indomani della presentazione dei conti, Mediobanca ha perso il 2,7%, Ubi il 2,44%, Banco Bpm l’1,94%, Unicredit l’1,4%, Intesa lo 0,79%.

La pressione
A generare la pressione sul comparto del credito italiano è il nodo spread. Ogni deprezzamento dei titoli di stato va ad incidere sul valore del patrimonio degli istituti, cui tocca fare il mark-to-market ogni fine trimestre. A fronte di un differenziale che dai 150 punti base di maggio è salito ai 311 di ieri il cosiddetto Cet 1 ratio, ovvero l’indice patrimoniale per eccellenza, è sceso in media di circa 42 punti base. Ratio patrimoniali più bassi, nei casi di banche più solide, si traducono in una minor capacità di erogare credito. Ma per le banche più fragili, che già partono da un livello di capitale più limitato, una riduzione del Cet 1 deprime la capacità di varare le attese operazioni di pulizia del portafoglio richieste dalla Bce. E a catena questo accende il rischio di dover procedere a un aumento di capitale per riportare il buffer di sicurezza oltre i limiti imposti dalla Vigilanza. L’altro elemento di criticità è poi determinato dal funding: con uno spread a 300 punti base come oggi, per gli istituti diventa molto più costoso emettere obbligazioni, il cui mercato non a caso è congelato. Entro il 2020 andranno peraltro in scadenza circa metà dei 267 miliardi di euro di obbligazioni bancarie in circolazione a febbraio, e per tutte già oggi si pone il tema del rifinanziamento e dei relativi costi.

Le prospettive per il settore
Le prospettive per le banche italiane sono a dir poco sfidanti. Dalla prossima settimana, si alzerà il velo sulle trimestrali che, con tutta probabilità, metteranno in luce una contrazione dei ricavi e degli utili. Un dato, questo, su cui impatta inevitabilmente la frenata dei ricavi legati all’asset management, complice la fase negativa sui mercati. Il 2 novembre poi usciranno gli esiti degli stress test 2018: in lizza ci sono Intesa Sanpaolo, UniCredit, BancoBpm e Ubi. Sul mercato circolano stime tendenzialmente confortanti, anche perché come già accaduto negli ultimi due esercizi di positivo non è prevista alcuna soglia che possa definire una bocciatura. Tuttavia, non è da escludere che eventuali segnali di fragilità che dovessero emergere in quella sede potrebbero essere l’appiglio per nuove vendite da parte degli investitori.

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