azzerato il rimbalzo dei prezzi

Petrolio, l’ira di Trump contro i tagli di produzione sauditi

di Sissi Bellomo

(REUTERS)

3' di lettura

Donald Trump ha di nuovo rimescolato le carte sul tavolo dell’Opec, che sta valutando con la Russia e gli altri alleati un nuovo taglio produttivo da milione di barili al giorno. L’ipotesi avanzata da Riad, che si appresta a ridurre le sue esportazioni fin da dicembre, era appena riuscita ad arginare il crollo delle quotazioni del petrolio. Ma il presidente americano – sul finire della seduta di ieri – ha fatto irruzione sul mercato con l’ennesimo tweet: «Sperabilmente l’Arabia Saudita e l’Opec non taglieranno la produzione. In base all’offerta il prezzo del petrolio dovrebbe essere molto più basso!» .

L’inversione di rotta è stata immediata e brutale: il Brent, che era arrivato a guadagnare oltre il 2%, spingendosi fino 71,88 dollari nel corso della giornata, ha azzerato il rialzo per chiudere a 70,12 $. Il Wti è addirittura passato in negativo, concludendo a 59,93 $ (-0,4%).

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Entrambi i riferimenti, che solo a inizio ottobre volavano ai massimi da 4 anni, la settimana scorsa erano scivolati in «bear market», ossia in ribasso di oltre il 20% dal recente picco. Ma dopo la riunione di Abu Dhabi, che nel weekend aveva coinvolto esponenti di spicco dell’Opec Plus, trac ui anche la Russia, la discesa dei prezzi si era interrotta.

Fondamentale l’intervento del ministro saudita Khalid Al Falih, che aveva annunciato che Riad ridurrà le esportazioni di greggio di 500mila barili al giorno a dicembre. Sia pure tra mille cautele, Al Falih aveva anche prefigurato la possibilità di un’inversione di rotta da parte dell’intera Opec Plus, con un taglio complessivo della produzione di almeno un milione di barili al giorno nel 2019.

Gli incontri negli Emirati Arabi Uniti non hanno in realtà offerto molte certezze sulle prossime mosse della coalizione Opec-non Opec. L’organismo che si è riunito, il Comitato di monitoraggio sui tagli produttivi, non ha l’autorità di prendere decisioni. E da qui ai primi di dicembre – quando a Vienna ci sarà il vertice vero e proprio dell’Organizzazione – possono cambiare molte cose.

Lo stesso Al Falih aveva messo le mani avanti, recitando – forse proprio per non sollevare le ire di Trump – un vero e proprio inno alla prudenza: «Se tutto rimane come adesso, e quasi certamente non sarà così, perché è un mercato dinamico e le cose cambieranno, dovremo ridurre la produzione di circa un milione di barili al giorno rispetto ai livelli di ottobre». Precisazioni addirittura pedanti e di certo insufficienti ad infiammare gli acquisti degli speculatori, ma che evidentemente non sono bastate a tranquillizzare l’inquilino della Casa Bianca.

Trump potrebbe anche non aver gradito il riferimento agli Usa, quantomeno corresponsabili del surplus che è tornato ad appesantire i mercati petoliferi. «Taglieremo solo se vedremo emergere un eccesso di offerta persistente – aveva detto Al Falih – Francamente vediamo che ci sono dei segnali negli Usa, ma non ne abbiamo visti a livello globale».

Anche gli alleati russi sono stati molti cauti. Il ministro Alexandr Novak – in difficoltà nell’imporre una nuova chiusura dei rubinetti alle compagnie locali – si è limitato a dire che la produzione di Mosca «ha raggiunto livelli stabilizzati».  «Saremo il più possibile flessibili – ha aggiunto –. I nostri accordi (con l'Opec, Ndr) ci consentono di prendere qualsiasi decisione».
È comunque apparso evidente che l’Arabia Saudita si è rimessa al timone per forzare un’eventuale nuova virata delle politiche dell’Opec Plus. Altrettanto evidente è stata la presa d’atto – non solo da parte di Al Falih – che oggi come oggi l’offerta di greggio è superiore al fabbisogno. Al vertice del 6-7 dicembre a Vienna «bisognerà adottare una nuova strategia», ha affermato l’emiratino Suhail Mazrouei, presidente di turno dell’Opec. «Che si tratti di tagli o di qualcos’altro, di certo non ci sarà un aumento della produzione».

Le esportazioni dall’Iran, anche grazie all’avvio graduale delle sanzioni da parte degli Usa, sono calate molto meno di quanto si pensasse. E le forniture sostitutive, sollecitate con forza da Trump, sono arrivate troppo in fretta e troppo abbondanti.

L’Opec, con il contributo imprevisto anche di Libia e Nigeria, ha messo sul mercato oltre 800mila bg in più da maggio, la Russia ha aggiunto altri 450mila bg. Ma la vera sorpresa sono stati proprio gli Stati Uniti, che nello stesso periodo hanno aumentato l’output di circa un milione di bg, arrivando a estrarre ben 11,6 mbg tra greggio e condensati la settimana scorsa, un record storico.

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