DAL SUDAFRICA ALLA CINA

Food spy story: il mercato milionario, selvaggio e corrotto dell’abalone

di Giambattista Marchetto

3' di lettura

Ricercato e sempre più apprezzato nella cucina di crudo italiana ed europea, l'abalone – ovvero aliotide selvatica o d'allevamento, da qualcuno indicata anche come “orecchio di mare” – è oggi considerata una prelibatezza in Cina. E come per ogni leccornia (o prodotto medicamentoso) che spopola sul mercato cinese, anche attorno all'abalone si è scatenata una caccia sfrenata e soprattutto si è amplificato a dismisura il mercato clandestino.
Sebbene questo frutto di mare sia diffuso in Africa, Australia, Nuova Zelanda e nelle isole del Pacifico, non mancano le colture anche in Europa. E dall'Africa viene un segnale d'allarme.

Sudafrica “esporta” 3mila tonnellate di contrabbando
Sotto i riflettori è il Sudafrica, dove questi frutti di mare (conosciuti localmente come perlemoen) vengono raccolti dai pescatori in un mercato selvaggio controllato da bracconieri, organizzazioni criminali e contrastato solo parzialmente dalle autorità locali.
Si stima infatti che vengano esportati illecitamente dal Paese circa sei milioni di abalone selvatici, qualcosa come 3mila tonnellate a fronte delle 96 tonnellate annue pescabili legalmente secondo il regolamento del 2013 emanato dal DAFF (Department of Agriculture, Forestry and Fisheries). E allora ci sono sfruttatori e affaristi che hanno costruito e continuano a far fruttare un business milionario intorno al mollusco, sfruttando i pescatori che si immergono nelle baie tra gli squali per ottenere un premio decente per il loro rischio. Un chilogrammo di abalone viene infatti pagato 500 rand sudafricani (circa 30 euro), non poco eppure nulla se si considera che in Cina arrivano a pagare quasi 500 euro per un piatto di molluschi.
Il paradosso è che il non sembra sia rimasto abbastanza abalone per una adeguata “redistribuzione” dei proventi (e per stabilizzare la crisi con l'acquacoltura), dunque accanto al contrabbando si è sviluppata una vera guerra senza esclusione di colpi. Con il prezzo dell'abalone alle stelle, anche chi commercia legalmente è esposto a rischi. Le spedizioni di abalone coltivato avvengono su furgoni blindati, esposti però sempre più di frequente ad agguati criminali. I trafficanti evitano così anche lo sforzo della pesca, dedicandosi solo al contrabbando della refurtiva.

Un libro svela il mondo sommerso e corrotto
C'è poi chi parla apertamente di corruzione, ma al di là del denaro per “ungere” gli ingranaggi sembra che il bilancio operativo del DAFF sia fortemente sbilanciato sugli introiti derivati dalla vendita di abalone confiscato, di conseguenza sembra che l'ufficio sia poco “incentivato” a risolvere la crisi di abalone – ha dichiarato pubblicamente il giornalista investigativo Kimon de Greef, che ha pubblicato recentemente il libro “Poacher: Confessions from the abalone underworld”, scritto dopo un anno e mezzo di ricerche insieme a un ex bracconiere di Cape Flats.

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Una vita a fior d'acqua
“Poacher: Confessions from the abalone underworld” sembra essere un libro “esplosivo” perché accoglie racconti di prima mano della caccia al tesoro culinario sottomarino destinato alla Cina. Il protagonista Shuhood Abader (un nome di copertura) è stato arrestato otto volte e condannato tre volte, ma racconta esplicitamente il perché di tanto successo: un bracconiere, con l'immersione di una notte, può guadagnare più dello stipendio mensile di un insegnante e dunque molti sono disposti a rischiare la propria vita.
Il libro nasce dalla tesi di dottorato di de Greef, ma mescola la testimonianza dell'ex pescatore con pezzi di fantasia, mostrando realisticamente il funzionamento del sistema: racconta le comunità di pescatori disperate e i rapporti con le roccaforti criminali a Cape Flats, tra ricatti e rapine, armi e complicità della polizia nei porti del Marocco e di Hong Kong. Uno spaccato su un mondo intrigante e terribile, su un mercato nero come le anime che lo popolano.

@gbmarchetto

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