RAPPORTO NOMISMA

Il prosecco traina l’export del vino italiano, ma calano i volumi

di Giambattista Marchetto

3' di lettura

L'Italia del vino cresce ancora nel mondo, ma con il freno a mano tirato. E l'ancora di salvezza si chiama Prosecco.
Le stime sull'export presentate ieri a Verona dall'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor - alla presenza del ministro Marco Centinaio in un evento nell'ambito di wine2wine - prevedono infatti una crescita 2018 del 3,8%, per un valore assoluto vicino ai 6,2 miliardi di euro, a fronte però di un calo dei volumi del 9% (la vendemmia 2017 ha lasciato il segno).
Dietro al segno positivo macro, si nascondono però segnali di preoccupazione che la ricerca di Nomisma (costruita su fonte dogane) ha messo in luce senza troppo addolcire la pillola. Innanzitutto, perché la variazione positiva è quasi interamente da imputare ad una nuova performance positiva degli sparkling (Prosecco in primis) che crescono a doppia cifra in Usa (+15%), UK (+12,6%), ma anche in Russia, Svizzera, Brasile e pure in Svezia (+46%), a fronte di un rosso pressoché uniforme sui vini fermi (dal -1,9% degli Usa al -4,6 del Giappone).
“L'Italia cresce ma soprattutto grazie agli spumanti – rimarca Denis Pantini di Nomisma Wine Monitor - Un trend accentuatosi nel 2018 negli Usa, dove i vini fermi francesi, in particolare i rosé, tolgono spazio ai nostri prodotti (Pinot Grigio soprattutto), e tra i buyer tedeschi che si riorientano sui domestic wine”.

La locomotiva tedesca non tira più
Il secondo nodo critico è legato alla “crisi” strutturale del mercato Germania, che per molte denominazioni italiane è stata la prima locomotiva a trainare l'uscita dai confini nazionali: il -4,1% stimato da Nomisma nasce da una combinazione tra l'incremento dei consumi di prodotto interno e una netta flessione dell'Asti, che impedisce alle bollicine di risollevare gli animi. E se i trend negativi di Giappone e Svizzera fanno storcere la bocca, la tenuta complessiva del mercato UK (+1,5%) nonostante da svalutazione della sterlina fa guardare con meno preoccupazione ai rischi post-Brexit. In Cina, invece, si annuncia una contrazione legata agli “eccessi” di importazioni degli anni passati.
Last but not least, il confronto sull'export vede i produttori della penisola procedere con un passo più lento rispetto ai competitor diretti: per la Francia si attende un +4,8% (per un valore assoluto superiore a 9,5 miliardi) e la Spagna è data a +5,2% (oltre i 3 miliardi).
“In un anno in cui il vino italiano ha ottenuto ottimi piazzamenti nelle guide a livello internazionale, si annuncia una proiezione di mercato tra luci e ombre – ha commentato il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani – Stiamo assistendo a un cambiamento delle polarità nel mercato, per questo serve un'armonizzazione delle politiche di promozione”.

Categorie chiedono unità d'intenti
Un input certo non nuovo e sul quale si sono allineati i presidenti di Federvini Sandro Boscaini, di Unione italiana vini Ernesto Abbona e della Federazione italiana vignaioli indipendenti Matilde Poggi, da quali è venuto un (ennesimo) appello al ministro Centinaio per un'azione governativa in controtendenza rispetto allo “spezzettamento” di impegni promozionali.
Boscaini ha richiamato l'attenzione sulla necessità di non rinunciare alla multiformità dell'offerta enologica, proponendo sotto il brand Italia “un bouquet” di prodotti diversi senza farsi trascinare solo dalle mode (e dunque dalle bollicine). E mentre Abbona suggerisce a concentrare le risorse per la promozione sulle aree e sui progetti che le sanno usare, la Poggi ha invitato energicamente ad alleggerire complicazioni e burocrazia per l'accesso ai fondi (Ocm in primis).
Dal canto suo il ministro si è impegnato ad istituire un tavolo congiunto con i Ministeri di Sviluppo economico e degli Esteri per il wine & food italiano. “L'obiettivo che ci diamo è una legge-quadro per la promozione del sistema-Paese - ha detto l'esponente del Governo - Gli operatori stranieri ci chiedono di lavorare su percorsi che uniscano il vino alla cultura e alle escursioni, un approccio che consentirebbe di destagionalizzare l'offerta e ampliare la ricaduta economica sui territori”.

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