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La Cina protesta, ma Musk non si ferma nella costruzione della sua rete di satelliti

A inizio anno SpaceX ha proseguito nel lancio di satelliti per la Starlink, incaricata di portare internet in tutto il mondo. Anche gli esperti protestano

di Leopoldo Benacchio

Afp

6' di lettura

Nello spazio c’è posto per tutti, anzi per miliardi di satelliti. Con questa frase, apparentemente condivisibile, Elon Musk a fine 2021 ha cercato di rispondere alle proteste della Cina e dei molti, istituzioni e singoli, preoccupati dall’invasione delle orbite basse operata dalla sua costellazione di satelliti Starlink.

La Cina infatti si era fortemente lamentata nel dicembre scorso per il fatto che per due volte nel 2021 la Stazione spaziale di quel Paese aveva dovuto spostarsi per una possibile collisione con una dei satelliti della costellazione Starlink che sono piuttosto pericolosi come corpi da impatto,essendo attorno ai 220 chili ciascuno.

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Ci sono poi gli astrofisici di tutto il mondo che temono di vedere i loro nuovi e costosissimi strumenti per lo studio dell’Universo vengano, nella pratica, accecati dalle strisce luminose lasciate in cielo dalle centinaia di satelliti di Elon Musk, che viaggiano molto vicini al suolo terrestre, dai 350 ai 550 chilometri per la massima parte. A questi fanno eco ovvia gli appassionati del cielo, gli ambientalisti e chi ha, giustamente, l’idea che la visione del cielo notturno sia un bene comune e indisponibile.

Un satellite di Starlink nell’impatto con l’atmosfera (Reuters)

L’altra faccia del problema è, ovviamente, che il progresso non va fermato ma, casomai, regolamentato in modo efficace e semplice.

La costellazione a bassa orbita

Starlink è la costellazione di satelliti di SpaceX, voluta da Elon Musk per distribuire la rete internet ovunque nel globo terrestre. Non è certo una novità, come idea, ma fino ad ora l’internet dallo spazio veniva fornito da orbite piuttosto distanti dal suolo, quindi con tempi di latenza notevoli che l’utente sconta sperimentando un tempo di ritardo, minimo ma fastidioso.

Starlink invece invade, letteralmente, la bassa orbita fra i 350 e i 550 chilometri, con alcuni satelliti poco oltre i mille, e assicura così velocità e tempi di latenza minimali. Per avere una configurazione stabile ed efficiente Starlink deve avere 4408 satelliti, che coprano in pratica tutto la superficie terrestre con un minimo di ridondanza.

Per quanto pure Musk sia limitato dalla carenza di chip che funesta i mercati da qualche mese, nel 2021 sono stati effettuati 31 differenti lanci di satelliti Starlink con il razzo vettore Falcon 9 e nel 2022 sono già tre, anche se l’ultimo con soli 49 nuovi satelliti.

Insomma a SpaceX si stanno facendo le cose sul serio, anche perchè Starlink deve servire a Elon Musk come bancomat per l’impresa a cui lui tiene veramente: la corsa a Marte, su cui vuole arrivare, che vuole colonizzare e, parole sue, dove vuole restare per l’eternità.

Un treno di satelliti di Starlink in fase di rilascio

Quanto sarà profittevole il sistema in termini di cash flow è comunque da verificare e non tutti gli analisti finanziari sono d’accordo, anche perchè il sistema, per l’utente finale, è piuttosto costoso come prezzo iniziale di partecipazione e poi canoni mensili.

Le esigenze numeriche

Comunque sia anche per un uomo geniale, intraprendente e ricchissimo come Musk, i problemi non mancano e per capirli proprio un suo tweet del 19 gennaio ci aiuta: i satelliti della costellazione in orbita e operativi sono attualmente 1469, mentre 272 sono in fase di posizionamento attorno alla Terra.

La semplice aritmetica delle scuole elementari a questo punto ci aiuta: attualmente il numero di satelliti operativi non è sufficiente per un servizio stabile, ne servono infatti 1584, ma fra poche settimane questo numero verrà raggiunto grazie a quelli che si stanno disponendo nella posizione prevista. Andando oltre, secondo Jonathan McDowell, del Centro di Astrofisica di Harvard, i satelliti lanciati finora, a partire dai primi nel 2019, sono 2042, ne mancano quindi all’appello circa 250.

Ma la cosa non deve stupire, è prevista. Elon Musk infatti usa una tecnica di tentativi ed errori molto vicina e quella che si usa in molti campi della ricerca scientifica: i primi satelliti mandati in orbita sono di fatto serviti come test per capire quali fossero eventuali problemi del sistema. Una volta finito il loro compito sono stati deorbitati senza tanti complimenti, per non creare ulteriori problemi di spazzatura spaziale.

L’offerta di internet da satellite

Entro l’anno comunque è prevedibile che ci si avvicinerà al numero di 3mila satelliti in orbita, cosa che permetterà di avere un sistema abbastanza robusto e veloce, anche in vista della attivazione di link laser fra i satelliti, che così di fatto diventeranno una vera e propria catena, con grandi vantaggi per l’utente in termini di velocità e stabilità. Anche questo è stato annunciato da Musk via tweet.

Dal lato positivo si registra, nell’ambito di un progetto pilota in Australia, piuttosto limitato, un entusiastico accoglimento delle prestazioni del sistema, dieci volte la velocità del normale internet via satellite e 10 volte minore il tempo di latenza. Connected Farms, collega via Starlink fra loro, ma soprattutto alla Rete internet, varie aziende agricole sparse nell’immenso territorio di quel poco popolato continente.

Ci sono ovviamente anche altri problemi: non è affatto vero che c’è spazio per tutti, anzi in orbita bassa, da 300 a 1000 chilometri, c’è già un traffico da weekend ferragostano. Come dimostra bene uno studio di Miles Lifson del Massachusetts Institute of Technology e Richard Linares, consulente di Nasa e della Difesa Usa, le orbite disponibili sono molto limitate e devono essere studiate in accordo con altri attori che stanno entrando nel mercato delle reti da satellite, come Amazon col suo sistema Kuiper e Oneweb.

Il sovraffollamento dello spazio vicino

Senza ricorrere a calcoli complessi di meccanica celeste, peraltro necessari, sembra un punto di buon senso, dato che, messi uno a fianco all’altro , i progetti prevedono la messa in orbita in questo decennio di decine di migliaia di satelliti in quella shell di spazio, una fetta dello spessore di 700 chilometri in cui oltretutto, ci sono già varie decine di migliaia di pezzi di metallo vaganti, provenienti da scontri o esplosioni.

Sullo sfondo poi c’è sempre il problema che, in questo modo e senza un accordo planetario, seguendo solo le vaghe e fragili norme sull’uso dello spazio risalenti a più di 50 anni fa, si innesti un monopolio americano de facto. E non è poco.

Mentre l’attenzione resta focalizzata su progetto Starlink, SpaceX continua ovviamente a lanciare i suoi razzi Falcon 9, sviluppare il super razzo per Marte, che dovrebbe essere lanciato quest’anno come prima prova, e a fare affari: ha appena firmato un contratto per 102 milioni per studiare la possibilità di trasportare carichi estremamente voluminosi o pesanti da un punto all’altro del globo coi suoi razzi, ben oltre la capacità degli attuali aerei cargo, come i giganteschi Antonov per intenderci.

Quelli che lavorano senza sosta sul problema posto da Starlink, per ora, e domani dalle altre costellazioni simili previste sono gli astrofisici, circa 120mila scienziati in tutto il mondo che sono rappresentati all’Iau, l’Unione Astronomica Internazionale, centenaria associazione delegata da Onu ai problemi del cielo.

La necessità delle regole

Al di là dello stereotipo dello scienziato che ammira le bellezze dell’Universo, gli astrofisici utilizzano il cielo come un laboratorio di fisica estrema, dove è possibile studiare energie, masse, eventi fisici che sulla Terra non potremo mai ottenere, basta pensare alla produzione illimitata di energia mediante fusione nucleare che avviene nelle stelle.

Una disciplina quindi senz’altro di base, ma con ricadute fondamentali per la società. In un lavoro scientifico pubblicato a metà gennaio su una delle più importanti riviste internazionali del settore, Przemek Mróz, del Caltech, famosa università tecnologica californiana, ha prodotto dati sconcertanti: nel 2019 solo lo 0,5% delle immagini astronomiche prese all’Osservatorio del Palomar era affetto da strisce luminose dovute al passaggio di satelliti Starlink al crepuscolo, nel 2021 la percentuale era cresciuta a un buon 20%.

I rimedi sono in discussione nelle commissioni tecniche di Onu, come il Cuopos e si parla della grande numerosità dei satelliti, delle loro orbite e di come ridurre al minimo la quantità di luce che riflettono e come schermare gli indispensabili pannelli solari, fonte primaria di disturbo.

«L’esperienza acquisita negli ultimi due anni indica che le industrie spaziali sono maggiormente disponibili a studiare soluzioni che minimizzino l'impatto negativo delle loro costellazioni satellitari sull’astronomia se vengono coinvolte nelle fasi iniziali della loro progettazione», sostiene Piero Benvenuti, direttore del Centro Iau per la protezione del cielo buio e radio-silenzioso, assicurando che il Centro fornirà all’industria tutte le informazioni necessarie per simulare gli effetti negativi di una nuova costellazione, offrendo così la possibilità di ridurli al minimo possibile, compatibilmente con gli obiettivi primari della stessa. «Con Amazon la collaborazione a proposito della loro futura costellazione va molto bene», conclude Benvenuti.

Insomma il progresso non si ferma, mancherebbe, ma meglio che nessuno faccia l’asso pigliatutto a scapito degli altri e instauri un monopolio di fatto.

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