la corsa alla Luna

La corsa alla luna e la geopolitica Usa-Urss negli anni della guerra

Lo sbarco americano sulla Luna fu devastante per il morale dei russi. Il racconto degli anni in cui la conquista dello spazio era una dimensione della guerra fredda, e di quando fu sostituito dalla corsa agli armamenti nucleari.

di Ugo Tramballi

#Luna50, Apollo 11 e il grande balzo dell’umanità

7' di lettura

In fondo alla Prospettiva Mira, a Mosca, quasi di fronte al gigantesco hotel Cosmos, c'è il Monumento ai Conquistatori dello Spazio. È un obelisco di 107 metri in cima al quale un razzo è spinto verso l'ignoto da una scia così perfetta e potente da ricordare i due requisiti necessari di ogni esplorazione: curiosità e superbia.

Anche se nell'essenzialità del realismo socialista, I Conquistatori del Cosmo ricorda il Monumento alle Scoperte che a Lisbona guarda verso l'oceano. Entrambi raffigurano l'ansia degli uomini di conoscere e dominare ogni luogo incognito, ovunque sia, in ogni epoca.

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20 luglio 1969, 50 anni fa lo sbarco sulla luna

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Era il 1964 quando il Pokoritelyam Kòsmosa moscovita venne inaugurato ma solo parzialmente. In Unione Sovietica si costruivano carri armati ma non frigoriferi; dall'immensa Kamax di Città Breznev, “la più grande fabbrica di veicoli del mondo”, uscivano un milione di camion l'anno ma non tutti col carburatore o la marmitta perché la produzione di componenti non rispettava mai il Piano.

Così il programma spaziale: nel 1957 era stato lanciato Sputnik1, il primo satellite artificiale nello spazio; nel '62 Yuri Gagarin era stato il primo uomo a completare un'orbita terrestre e tornare vivo, umiliando gli americani. Ma il monumento di Prospekt Mira sarebbe stato definitivamente inaugurato solo nel 1981.

Nel caldo non più opprimente del settembre texano, in 40mila si erano presentati allo stadio di football della Rice University. Era il 12 settembre 1962. Il campus era a Houston, dove la Nasa aveva da poco creato un centro spaziale per i voli umani ed era stato sviluppato il Programma Mercury: la prima missione di John Glenn era stata battuta sul tempo dal volo di Gagarin.

La corsa per la conquista dello spazio era ormai diventata una priorità per le due superpotenze, sebbene fosse stata aperta da poco con il lancio dello Sputnik. Il cosmo era stato soprattutto il campo di un'altra gara, quella per il riarmo nucleare: russi e americani sperimentavano missili balistici capaci di uscire dall'atmosfera con una testata atomica e rientrarvi in mezz'ora per colpire un obiettivo nemico dall'altra parte della Terra.

La National Aeronautics and Space Administration, la NASA, era stata creata solo nel 1958; Houston non era ancora il centro di controllo delle missioni umane; e Cape Canaveral in Florida era più un campo di sperimentazione per razzi militari che la base di lancio delle imprese spaziali. Ma era per guardare a un futuro imminente e ineluttabile che i 40mila erano venuti al Rice Stadium ad ascoltare John Kennedy.

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Il discorso era stato scritto da Ted Sorensen, lo stesso che all'inaugurazione presidenziale a Washington, nel gennaio dell'anno prima, aveva scritto il testo di “Ask Not”: “Non chiedete cosa il paese può fare per voi, chiedete cosa voi potete fare per il paese”. In quello come in questo di Houston, Kennedy aveva fatto poche ma essenziali correzioni.

“We chose to go to the Moon”, abbiamo scelto di andare sulla Luna, annunciò il presidente: “Non perché è facile ma perché è difficile”. Kennedy non disse che il Programma Apollo che progressivamente avrebbe avvicinato e poi portato gli astronauti sulla Luna, in un decennio sarebbe costato più di 20 miliardi di dollari di allora. Ma se lo avesse ammesso, nell'America di quel tempo non sarebbe cambiato nulla. La corsa alla conquista dell'ignoto era davvero incominciata e l'amministrazione Kennedy l'aveva trasformata in una “Nuova Frontiera” americana.

L'anno precedente, al Summit di Vienna, Kennedy aveva proposto a Nikita Khrushchev di realizzare insieme, Usa e Urss, il programma che avrebbe portato il primo uomo sulla Luna. Il segretario del Pcus ignorò la proposta.

Gagarin era appena andato e tornato dallo spazio e pochi giorni dopo quell'impresa, fallì lo sbarco nella Baia dei Porci, a Cuba: il tentativo finanziato dagli americani di rovesciare il regime di Fidel Castro. L'Unione Sovietica si era convinta di essere a un passo dalla vittoria della Guerra Fredda.

Dal “We chose to go to the Moon”, ci sarebbe dunque stato lo “Spazio” degli americani e il “Cosmo” dei sovietici; astronauti sarebbero stati gli americani e cosmonauti i russi; i primi avrebbero pilotato moduli, i secondi capsule; Cape Canaveral era un Centro Spaziale , Baikonur un Cosmodromo. Secondo collocazione ideologica e geopolitica, il mondo intero si sarebbe adeguato ai due vocabolari.

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“Solo se gli Stati Uniti occuperanno una posizione di preminenza, potremo aiutare a decidere se questo nuovo oceano sarà un mare di pace o un nuovo terrificante teatro di guerra”, disse Kennedy a Houston. La Guerra Fredda si sarebbe combattuta nello spazio cosmico come sulla Terra, e ancora oggi quella preoccupazione non ha avuto una risposta.

Le 17 missioni del Progetto Apollo furono una svolta. Con l'ottava che per prima circumnavigò la Luna, i russi persero la superiorità nella realizzazione dei razzi, per qualità e potenza; con il grande successo di Apollo11, furono costretti a riconoscere che il loro primato nelle esplorazioni spaziali era finito per sempre. Gli scienziati russi non avevano nulla di meno degli americani se non il sistema e le risorse.

Anche se gli astronauti erano tutti militari, la Nasa era un'agenzia civile, le sue missioni erano seguite da stampa e opinione pubblica: anche quando fallivano. I risultati scientifici avevano grandi riflessi sull'industria civile. I programmi spaziali russi dipendevano dal Ministero per la Costruzione Generale delle Macchine (qualsiasi genere di veicolo).

Ogni iniziativa doveva essere presentata al Comitato centrale del Pcus e alla Commissione Militare-Industriale del Consiglio dei Ministri. Ma i suoi unici contraenti erano i militari, responsabili e operatori di ogni lancio oltre che di tutti i centri di controllo a terra. Ogni programma, ogni missione era un segreto militare e i risultati non avevano ricadute sull'industria civile.

Lo sbarco americano sulla Luna fu devastante per il morale dei russi. In quegli anni c'era stata anche la rottura sanguinosa fra il comunismo sovietico e cinese. A Mosca circolava una battuta: “C'è una notizia cattiva e una buona: la prima è che anche i cinesi sono andati sulla Luna, la seconda è che ci sono andati tutti”.

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Nel 1962, quando l'Urss dominava l'esplorazione del cosmo, gli arsenali nucleari americani erano molto più grandi: 25.540 testate a 3.322. Nel 1969, mentre Neil Amstrong metteva piede sulla Luna, la differenza era di 27.552 a 10.538. Nel loro primo incontro a Vienna, Khrushchev aveva detto a Kennedy che la collaborazione nell'esplorazione dello spazio sarebbe dipesa da una trattativa per equilibrare gli arsenali strategici.

Persa la corsa spaziale, i russi si erano impegnati sugli arsenali militari. Nel 1986, prima che Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan incominciassero la grande riduzione degli armamenti, i sovietici avevano 45.000 testate nucleari, gli americani 23.317.

Con un totale di oltre 68mila bombe atomiche la coesistenza si fondava sul MAD (Mutial Assured Destruction): la constatazione che chiunque avesse incominciato una guerra nucleare ne sarebbe stato distrutto. La tecnologia missilistica che portava gli astronauti a esplorare l'infinito era la stessa che spingeva le testate atomiche nello spazio e le faceva rientrare per distruggere l'umanità.

Prima che il missile degli uni colpisse l'obiettivo, quello degli altri sarebbe stato lanciato per andare a distruggere il suo.

L'andamento della Guerra Fredda ha sempre condizionato l'esplorazione umana e pacifica dello spazio: era parte di quel conflitto nei periodi di confronto, diventava un'opportunità di collaborazione in quelli di disgelo. Il clima positivo degli accordi di Helsinky permise nel 1975 il miracolo della prima missione congiunta Apollo-Soyuz (a Mosca era Soyuz-Apollo): un modulo americano con tre astronauti e una capsula sovietica con due cosmonauti attraccarono l'uno all'altra nello spazio.

L'invasione sovietica dell'Afghanistan del 1979 fermò la collaborazione ma non del tutto. Dopo l'ultima missione Apollo del 1972 – il suo comandante Eugene Cernan è l'ultimo uomo ad aver calpestato il suolo lunare – la Nasa si dedicò allo sviluppo di un veicolo che, lanciato da un razzo, rientrasse da solo nell'atmosfera: lo Shuttle. Con la stazione orbitante Mir i sovietici investirono nella lunga permanenza dell'uomo nello spazio, essenziale per la prossima conquista umana: lo sbarco su Marte. Nel 1978 gli americani avevano anche iniziato l'esplorazione di Venere con la missione Pioneer Venus e i russi con Venera: alla fine decisero di condividere le loro ricerche.
Gorbaciov e Reagan, poi con George H.W. Bush, aprirono una lunga fase positiva: nella diminuzione degli arsenali strategici e nella crescita della collaborazione spaziale. In realtà i programmi degli uni servivano agli altri perché gli uni e gli altri avevano deciso di ridurre gli investimenti per l'esplorazione spaziale.

I russi non avevano mai avuto molto denaro, la Nasa incominciò a non avere più le risorse di un tempo. Sia George W. (il secondo e meno dotato Bush presidente) che Donald Trump hanno promesso il ritorno sulla Luna e la conquista di Marte. Ma solo come suggestione elettorale. A Houston John Kennedy aveva un programma con 17 missioni, le risorse economiche, gli astronauti e il consenso nazionale quando promise la Luna.

Oggi lo spazio è tornato a essere più un eventuale campo di battaglia che la frontiera dei sogni umani. Gli americani ambiscono a un improbabile sistema missilistico anti-missile, uno scudo spaziale che nel cosmo intercetta e distrugge le testate atomiche del nemico. Gli scienziati e i generali di Vladimir Putin promettono navicelle super-veloci e laser letali che dallo spazio distruggeranno qualsiasi nemico della Russia: “Per Capodanno ho deciso di regalare al popolo l'arma invincibile”, aveva detto Putin in tv, l'anno scorso. Americani e russi stanno rinnegando uno dopo l'altro gli accordi per la riduzione degli armamenti, rilanciando sulla Terra una pericolosa corsa come negli anni peggiori della Guerra Fredda.
Con l'apparizione sulla scena di nuovi protagonisti e di nuove ambizioni, la geopolitica terrestre è sempre più complicata. Con l'uomo o un robot, vogliono andare sulla Luna i cinesi e anche gli indiani; i giapponesi ci pensano, gli israeliani ci stanno lavorando. Gli europei sono più cauti e diplomatici ma ci sono anche loro. Lo spazio è lo specchio di ciò che accade sulla Terra: se si militarizza la seconda, le armi invaderanno anche il cosmo. Trump ha annunciato la creazione di una forza armata per l'universo siderale; russi, cinesi, e ora anche la Francia, hanno formato un Comando Militare Spaziale.

La Luna è l'obiettivo di molti orgogli nazionali. Lo era anche per americani e sovietici ma due soli concorrenti rendevano le cose più chiare e forse anche più semplici, quando veniva il tempo della diplomazia. Ora i presunti azionisti del cosmo sono troppi, mentre l'aspetto politico-commerciale domina sugli altri. La Luna non è più un sogno dell'umanità ma la miniera di materie prime per la sua economia: chi le estrae per primo controllerà le tecnologie del futuro. E se quel primo passo di Neil Amstrong sulla Luna, cinquant'anni fa, non fosse stato un grande affare per l'umanità?

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