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L’imperfezione ti fa bella

di Monica Melotti

3' di lettura

È un concetto sottile quello che lega l'imperfezione alla bellezza. Un concetto che adesso si è trasformato in unicità: quello che conta, nella vita e nella pubblicità, è essere unici. Ed ecco che la diversità, con i relativi difetti, diventa un pregio, sinonimo di personalità.

Le prime a fare da apripista sono state le major cinematografiche: quella bellezza classica e perfetta era troppo lontana dalla gente comune, non comunicava emozioni al grande pubblico. Gli esempi di star “imperfette” è lunga, dalle Veneri tascabili che a fatica raggiungono l'altezza di 1,60 cm. (Eva Longoria, Christina Ricci, Natalie Portman, Scarlett Johansson) al “gummy smile” di Julia Roberts, a quelle che hanno dovuto imbruttirsi per poter vincere un Oscar, vedi Charlize Theron, Hilary Swank, Leonardo di Caprio e Matthew McConaughey. Da qualche anno anche la pubblicità ha seguito questo filone, i segni distintivi restano in mente, il grande pubblico si identifica più facilmente con la ragazza della porta accanto e le vendite aumentano.

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Una bellezza autentica

Così sulle passerelle sono apparse modelle overweight come Ashley Graham, con la vitiligine come Winnie Harlow scelta dal brand spagnolo Desigual, con il diastema vedi Lara Stone ambassador di L'Oréal Paris e Infusion d'Iris di Prada e Georgia May Jagger face di Rimmel. Per non parlare della carica delle over 60. Un caso emblematico è quello di Isabella Rosellini licenziata da Lancôme a 40 anni perché troppo “vecchia” e richiamata dalla stessa maison a 66 anni per il lancio della crema Renergie Multi Glow. Negli Usa Daphne Selfe (89 anni) è testimonial del mascara del brand americano Eyeko, in Italia Benedetta Barzini (74 anni) è la face di Rodo, mentre la più agée Iris Apfel (97 anni) è ambassador per Mac Cosmetics. Alle protagoniste di queste campagne si chiede di essere loro stesse, avere delle storie da raccontare, il percorso che hanno fatto per diventare quello che sono.

Da Ashley Graham a Daphne Selfe fino a Lara Stone, la bellezza dell'imperfezione

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Ma c'è spazio anche per la gente comune. Il primo a sgretolare gli stereotipi della pubblicità è stato il brand Dove (Unilever) che nel 2004 con la campagna della “bellezza autentica” ha dato spazio a donne normali, alcun molto curvy. Un fil rouge seguito anche da altri brand, vedi le campagne del brand Nike che associa la grandezza non alla performance ma alla forza di volontà, proponendo modelli in sovrappeso e agée, fino alla recente campagna Lovable che utilizza modelle di statura, peso ed età diverse che indossano biancheria intima.

Ognuno può essere beauty ambassador

Libere dal giogo del beautyfing a ogni costo, le nuove consumatrici vogliono essere libere di apparire come vogliono. Così le maison di bellezza propongono un trucco con un approccio più autentico, che ci fa sentire belle e sicure nonostante i nostri difetti. Come l'ultimo lancio della collezione “D-Effect”di Wycon cosmetics, un gioco di parole che lascia intendere il suo obiettivo, accettare i propri difetti e valorizzarli, senza nasconderli o rinnegarli. I tre volti della campagna, infatti, mostrano tre ragazze solari, ma con visi poco convenzionali proprio per questo unici: una con il diastema, l'altra con le lentiggini, la terza con il segno di una ferita lungo il solco del naso.

Del resto i social allenano il nostro sguardo alle immagini più varie, ognuno di noi può diventare beauty ambassador, ma per avere successo occorre essere originali. Non tutte possono essere Chiara Ferragni o Huda Kattan (l'influencer con più follower al mondo, ben 28 milioni), ma si può imparare seguendo dei corsi ad hoc, come quelli proposti da Komax, un laboratorio creativo di Milano che ha formato diversi influencer.

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