moda uomo

L’Italia resta «patria» del menswear. Da domani al via Pitti a Firenze, poi Milano

di Giulia Crivelli

3' di lettura

Impegnati – come siamo sempre stati e continueremo a essere – a spiegare quanto sia importante il tessile-abbigliamento per l’economia e l’immagine del nostro Paese, rischiamo di dimenticare la capacità della moda di anticipare i cambiamenti sociali e culturali. In Italia e non solo.

Da una parte quindi il 2019 si è aperto con la notizia che la Germania è il primo Paese europeo a riconoscere le persone intersessuali, aprendo a un “terzo genere”. Provvedimenti simili sono stati presi nel 2018 anche in Australia, Nuova Zelanda, Malta, India e Canada. E veniamo al legame con la moda: per intersessuale si indica una persona i cui cromosomi e caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili. È una definizione che vale, da anni ormai, per le settimane della moda di tutto il mondo e per le sfilate: collezioni disegnate e prodotte per essere “scambiate”, volendo, tra uomini e donne, almeno in parte. Passerelle sulle quali sfilano modelle e modelli. Campagne pubblicitarie (non esiste un altro settore in cui, a oggi, sia successo) con protagoniste persone transgender. Appuntamenti tradizionalmente maschili, come Pitti o Milano moda uomo, che si aprono a collezioni da donna. E viceversa. Difficile ipotizzare che in futuro si organizzino settimane della moda “intersessuali”.

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Moda sempre più «liquida»

La via che la moda ha indicato negli ultimi anni è quella di una maggior osmosi tra mondo maschile e femminile. Osmosi che significa maggior dialogo e comprensione. Un’indicazione che ha anticipato, in certa misura, le esigenze di una società sempre più liquida, per usare la definizione creata da Zygmunt Bauman. Le statistiche, potremmo dire, sono un passo indietro: i numeri della moda maschile e femminile vengono analizzati separatamente. Ci accontentiamo, per ora. Anche perché sono comunque molto positivi. Anzi: il comparto uomo nel 2018 è andato meglio di quello donna e il Pitti che si apre l’8 gennaio a Firenze inizia sotto i migliori auspici. Da Firenze gli appuntamenti si sposteranno a Milano, dove dall’11 al 14 ci saranno sfilate e presentazioni: una settimana della moda maschile che solo l’Italia può offrire. Eventi che sono volano economico per le due città e offrono una vetrina con la quale le altre capitali della moda – New York, Londra e Parigi – non possono competere.

La leadership Firenze-Milano

Venendo ai numeri: a Firenze ci saranno 1.230 marchi nei padiglioni della fiera e decine di iniziative speciali per coinvolgere la città; a Milano si terranno 30 sfilate e decine di presentazioni in showroom, oltre a mostre e inaugurazioni. Con soddisfazione di albergatori, ristoratori e tassisti: si calcola che le quattro settimane della moda (due per l’uomo, in gennaio e giugno, due per la donna, in febbraio e settembre) valgano, insieme alle attività della filiera produttiva, un quinto del Pil della città. Come ricordato da Carlo Capasa, presidente della Camera della moda italiana, presentando Milano moda uomo (si veda anche Il Sole 24 Ore del 13 dicembre), la ripresa della moda uomo dalla grande crisi economica globale iniziata nel 2008, si è avviata in anticipo rispetto al resto del sistema: è dal 2013 che ogni anno si registra un incremento superiore al 2% e lo stesso si prevede per il 2019.

Il traino dei giovani

L’Italia è leader mondiale nel settore uomo di fascia media e medio-alta: si produce qui il 46% del totale dei capi maschili e addirittura il 70% di giacche e pantaloni. Il momento favorevole della moda maschile è legato ai consumatori più giovani, Millennials e generazioni successive: uno studio inglese citato da Capasa stima che gli under 35 spendano per vestirsi il 60% in più rispetto a chi ha qualche anno in più.

Nuovi consumatori, meno interessati a dividere il mondo in comparti e più attenti a vivere in pace con se stessi e con il pianeta che ci ospita.

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