Parla Donald AmstaD

Aberdeen: «Investire ora in azioni e bond cinesi»

di Stefano Carrer

3' di lettura

È il momento giusto per fare investimenti finanziari in una Cina che per la prima volta sta davvero aprendo i suoi mercati e dove gli investitori locali non hanno ancora appreso bene a discernere la “qualita” degli asset finanziari. E' il messaggio principale di Donald Amstad, Head of Investment, Specialist Asia, di Aberdeen Standard Investments, che ha tenuto a Milano un suo road show sulla «Nuova Era Cinese» assieme al suo braccio destro Edmund Goh.

Aberdeen ha un patrimonio gestito di quasi 650 miliardi di euro per conto di soggetti di ogni tipo, da governi a fondi pensione, da fondazioni a singoli individui, e si caratterizza per una gestione attiva, proponendosi come un gestore affidabile per investimenti a lungo termine. Amstad ne è il “guru” per l'Asia e ora in particolare per la Cina, con la sua gestione dei fondi azionari in China A Shares e obbligazionari (Onshore Bond Fund). «Il 1997 segnò l'inizio dell'apertura della Cina al resto del mondo. Pochi commentatori riuscirono a prevedere l'impatto dell'arrivo del Paese sulla scena economica globale – osserva anzitutto Amstad – Il 2018 segna l'apertura del mercato azionario e obbligazionario domestico agli investitori internazionali e l'inizio dell'inclusione nei benchmark internazionali. Lo ha fatto MSCI nell'aprile scorso, altri fornitori di benchmark stanno per accodarsi. Credo che oggi, come 40 anni fa, molti non si rendano conto della portata del cambiamento. E se finora, per i grandi fondi internazionali, snobbare azioni e obbligazioni cinesi non era penalizzante di per se', farlo d'ora in poi significherà prendere una decisione attiva in senso negativo».

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I fondi Aberdeen: “Perché investire sulla nuova Cina”

La forte correzione della Borsa cinese, che quest’anno è franata di un quarto del suo valore in parte in relazione alle tensioni commerciali con gli Usa, a suo parere dà vita a una grande opportunità di acquisto a prezzi molto convenienti, in quanto «le valutazione di aziende di qualità sono incredibilmente basse». Fino a oggi, inoltre, la Borsa cinese serviva a finanziare la rapida crescita economica e ha presentato anch'essa caratteristiche tumultuosa. In futuro, invece, il sistema finanziario dovrà servire piuttosto alle necessità di una “aging society”: anche la società cinese sta invecchiando e molti devono risparmiare e investire per l'ultima fase della vita. «Ma non e' ancora sviluppata una vera cultura del credito è una cultura dell'azionario in senso anglosassone, che punti a individuare la qualità degli asset finanziari», aggiunge Amstad, che dichiara di cercare appunto la “qualità”, oggi sottovalutata ma destinata a diventare cara. La individua soprattutto nel settore consumer, in vista dell'ulteriore crescita della classe media cinese.
Amstad vede in positivo anche l'aumento dei fallimenti di società («Prima non le lasciavano fallire: la svolta è in realtà da apprezzare») e, contrariamente ad altri esperti, non ritiene che il renminbi sia destinato a svalutarsi in modo sensibile: «Al contrario, siamo costruttivi sul renmimbi. Le autorità non possono permettersi che si affermi l'idea di un deprezzamento della valuta nazionale, che provocherebbe destabilizzazioni e fughe di capitali». Ma se la guerra commerciale con gli Usa dovesse aggravarsi e provocare tensioni su altri piani? «Non me la sento di dare una previsione su cosa farà Donald Trump - ironizza Amstad -. Non so cosa succederà tra una settimana o un mese, ma sono sicuro che sul lungo termine l'investimento su azioni o obbligazioni cinesi rappresenti oggi una delle migliori opportunità sui mercato finanziari. E non solo in un'ottica di diversificazione».

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