«sono stati delinquenti comuni»

Khashoggi, i big disertano la «Davos saudita». Trump invia Pompeo a Riad

di Roberto Bongiorni

'Ankara ha il video che prova l'omicidio di Khashoggi'

4' di lettura

Il caso Khashoggi diventa un problema di Donald Trump: il presidente ha inviato a Riad il suo segretario di Stato, Mike Pompeo ma con i giornalisti ha cercato di difendere le autorità saudite e quindi il principe Mohammed bin Salman accusato di essere il mandante della sparizione e del probabile omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita critico con il regime scomparso il 2 ottobre scorso dentro al consolato di Riad a Istanbul. Trump ha detto che Khashoggi può essere stato ucciso da «delinquenti comuni». Nel frattempo, però, fonti citate dalla Cnn fanno sapere che i sauditi sarebbero sul punto di ammettere che il giornalista è morto durante un interrogatorio «andato nel modo sbagliato».

Se solo oggi il presidente Trump è costretto suo malgrado a prendere posizione, nelle ore scorse il mondo della finanza, dell’economia internazionale nonché quello dei media lo hanno già fatto. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Jamie Dimon, Ceo di JPMorgan, la più grande banca d’affari americana. Ma è probabile che presto altri nomi illustri annunceranno di non voler più partecipare al Future Investment Initiative, il forum di tre giorni (23-25 ottobre) battezzato anche la “Davos del Deserto” voluto dal principe reggente saudita, Mohammed Bin Salman (Mbs) , per portare avanti il suo ambizioso piano di modernizzazione del Regno.

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Dimon, Ford e Branson, il “gruppo dei disertori” del Forum si allarga
Il caso Jamal Khashoggi sta creando un terremoto geopolitico internazionale. Preoccupati dalle sempre più ricorrenti voci secondo cui Khashoggi sarebbe stato assassinato dai servizi segreti sauditi (ipotesi finora sempre smentita da Riad per quanto le autorità turche sostengano il contrario) i leader politici mondiali attendono con ansia l’evolvere delle indagini prima di decidere quali contro-mosse adottare. Molti businessman e manager hanno invece già rotto gli indugi ed hanno reso noto di non voler partecipare alla Davos del Deserto.

Dimon si unisce così alla nutrita schiera di personalità dell’economia e della finanza profondamente colpiti da quanto accaduto al più noto giornalista saudita critico della Corona, nonché editorialista del quotidiano americano Washington Post. Prima del Ceo di JPMorgan avevano, tra agli altri, reso nota la loro diserzione a Bill Ford, presidente della Ford Motor, Bob Bakish, Ceo di Viacom, Dara Khosrowshahi, Ceo di Uber Technologies, Herman Narual,ceo della Startup Improbable Words ed altri ancora. Il miliardario Richard Branson, il fondatore del gruppo Virgin, ha invece annunciato che interromperà i progetti che aveva intenzione di sviluppare con la monarchia saudita. Tra i quali ambiziosi progetti in ambito turistico e spaziale.

Riad mantiene la calma, ma il Ryal cade ai minimi da due anni
L’impatto del caso Khashoggi si sta già facendo sentire sulla Borsa saudita. Che nelle due precedenti sedute ha accusato una perdita del 7,2% (oggi sta guadagnando il 2%). La valuta locale, il Ryal, oggi caduta ai minimi da due anni. Le autorità saudite stanno mantenendo la calma, almeno di facciata, ma sono consapevoli del pericolo che corre la grande manifestazione per rilanciare l’economia dell’Arabia Saudita: vale a dire che resti orfana di altri importanti nomi. Le defezioni dei presidente di Ford e di JPMorgan potrebbero aggiungere pressione su altre grosse società inducendole a rivedere la loro partecipazione. Per esempio Goldman Sachs, Mastercard e Bank of America, solo per citarne qualcuna.

La fronda dei disertori si va dunque ingrandendo con il passare dei giorni. Anche sul fronte dei più autorevoli media mondiali che avevano acconsentito alla partecipazione, ed in alcuni casi alla sponsorizzazione dell’evento. Non verranno a Riad i direttori del settimanale britannico The Economist e del quotidiano Financial Times. Non parteciperà il New York Times (che doveva essere uno sponsor della manifestazione) , ma nemmeno la Cnn, e neppure Bloomberg Lp.

Gli alleati di Riad invitano al boicottaggio delle società Usa
Il clima si sta scaldando con il passare dei giorni. Il miliardario degli Emirati Arabi Uniti, Khalaf Ahmad al-Habtoor, ha invitato alcuni Paesi arabi a boicottare le società americane che hanno deciso di non partecipare al summit Future Investment Initiative. Lo riporta Arab News. «Gli alleati dei sauditi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, insieme a Egitto e Giordania devono rimanere vicini a Riad per mostrare a quelle società che non sono benvenute per operare all’interno dei nostri confini. Dovrebbero essere
boicottate. Insieme dobbiamo dimostrare che noi non saremo vittime di bullismo» ha dichiarato il tycoon del Golfo, aggiungendo che questo è il momento di dimostrare lealtà.

Riad-Washingon, un’alleanza strategica messa a dura prova
Nel giorno in cui la il principe Bin Salman ha avviato un’indagine interna per far luce sull’accaduto, il caso Khashoggi rischia di creare dei problemi alla solida alleanza tra Riad e Washington, forgiata da Mbs e Trump nel giugno del 2017. Un’alleanza fatta di contratti di forniture di armi americane per oltre 110 miliardi di dollari, che fa della strategia anti-iraniana la sua spina dorsale.
Sconcertato per la scomparsa di Khashoggi, e per le accuse a Riad da parte del Governo turco, negli scorsi giorni lo stesso Trump ha minacciato «punizioni severe» per Riad nel caso in cui venga accertato che Khashoggi sia stato ucciso all'interno del consolato saudita. Nel colorato dizionario di Trump punizioni severe è anche sinonimo di sanzioni.

Una misura estrema, che metterebbe a repentaglio il sodalizio geopolitco/commerciale tra sauditi e americani. Riad ha reso subito noto che qualora venissero comminate sanzioni reagirebbe con contromisure. Ed è proprio questo lo scenario che si vuole evitare. Il primo esportatore mondiale di greggio ha tra le sue mani un formidabile strumento di pressione; potrebbe ridurre le esportazioni proprio nel periodo in cui entrano in vigore le sanzioni petrolifere contro l’Iran (presumibilmente dopo il 4 novembre). Ovvero quando un calo dell’offerta potrebbe far decollare i prezzi. È una misura estrema, ed è improbabile che i sauditi percorrano questa strada. Resterebbero isolati da resto del mondo proprio nel momento in cui cercano di attirare gli investimenti internazionali per cambiare volto all’economia del Regno. Ma in un Medio Oriente ormai in fiamme, non è saggio escludere scenari che appaiono a prima vista inverosimili.

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