indipendenza sotto attacco

Dagli Usa all’India alla Bce, la politica assedia le banche centrali

di Gianluca Di Donfrancesco

Il presidente Usa Donald Trump e il governatore della Fed Jerome Powell

3' di lettura

La Fed di Jerome Powell è «impazzita», come ha affermato il presidente Donald Trump l’11 ottobre. Il Governatore della Bce, Mario Draghi, sarebbe colpevole di scarso patriottismo italico e di «avvelenare il clima», secondo il vicepremier Luigi Di Maio. Il rialzo dei tassi di interesse in Turchia è la radice di ogni male, proclama da mesi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Senza dimenticare i tentativi di mettere la Banca centrale sotto tutela in Ungheria e Polonia. Oggi tocca alla Banca centrale indiana (Rbi): il suo governatore Urjit Patel sarebbe arrivato al punto di minacciare di dimettersi contro le pressioni dell’Esecutivo guidato da Narendra Modi. Patel chiede maggiori poteri per risanare il disastrato bilancio delle banche pubbliche. Due anni fa, il suo predecessore Raghuram Rajan, dopo aver salvato la rupia da una delle più gravi crisi valutarie della storia indiana, fu messo nelle condizioni di lasciare, proprio per le frizioni con la politica.

Nell’era dei sovranisti, l’indipendenza delle Banche centrali è sempre più sotto attacco, al punto da spingere proprio Draghi a lanciare l’allarme. I politici, aveva detto a Bali il 13 ottobre, durante il meeting annuale dell’Fmi, chiedono con sempre maggior insistenza alle Banche centrali di fare le cose più diverse, abbassare i tassi di interesse, cancellare il debito, comprare bond e «altro ancora». Il 26 ottobre ha rimarcato il messaggio in un lungo discorso a Francoforte. «La Banca centrale - ha detto Draghi - non deve essere soggetta alla politica e deve essere libera di scegliere gli strumenti più appropriati per esercitare il proprio mandato».

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Ma un dollaro forte, sostenuto dal ciclo di aumento dei tassi iniziato dalla Fed, non aiuta, per esempio, Trump a mantenere la promessa elettorale di azzerare il deficit commerciale. Il parallelo deprezzamento dello yuan, quasi il 7% quest’anno, assorbe parte dei dazi Usa sul made in China. I rialzi dei tassi decisi pur tra mille tentennamenti dalla Banca centrale turca, necessari per sostenere i cambi e frenare l’inflazione, rischiano di rallentare la crescita. Erdogan ha però bisogno di un’economia che corre per restare fedele alla promessa di prosperità su cui regge buona parte del proprio consenso.

Il rapporto tra politica e Banche centrali non è mai stato semplice. E le Banche centrali non sono infallibili. Tuttavia, nell’era dei populisimi, delle risposte semplicistiche a problemi complessi, i tecnici finiscono sempre più spesso nel mirino, dipinti come il nemico pubblico numero due (in cima alla lista c’è la realtà che non si adegua ai proclami elettorali). E nessuno più dei governatori delle banche centrali può incarnare meglio la figura del tecnocrate sganciato dai bisogni della “gente”.

Come ha ricordato Draghi, tuttavia, l’indipendenza delle banche centrali è un baluardo essenziale per difendere le economie dalle crisi finanziarie: «Se le banche centrali fossero meno indipendenti e i cittadini percepissero che le politiche monetarie possono essere spinte in una direzione o nell’altra, si finirebbe per mettere in pericolo la stabilità dei prezzi, come negli anni 70». Quelli dell’iperinflazione, quando i prezzi al consumo raggiunsero il 12% negli Stati Uniti e il 20% in Italia (erano anche gli anni degli shock petroliferi).

Le critiche della politica alle Banche centrali, peraltro, hanno spesso un tratto comune: servono a scaricare su qualcun altro le responsabilità per inefficenze del sistema economico, che tocca alla politica risolvere. Magari con scelte impopolari e un orizzonte che vada oltre la prossima scadenza elettorale.

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