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Migranti, 164 Paesi firmano il Global compact. L’Italia non c’è

dal nostro inviato Roberto Bongiorni

A Marrakesh firmato il Global Compact sui migranti, Conte assente

6' di lettura

Marrakech - All’appello mancavano meno di 30 Paesi (e tra questi l’Italia). Il risultato è stato dunque soddisfacente. Sono 164 i Governi del mondo che lunedì 10 dicembre, a Marrakech, hanno approvato il Global compact per l’immigrazione, il documento promosso dalle Nazioni Unite che prevede la condivisione di alcune linee guida generali sulle politiche migratorie . Un “patto” per condividere dei principi, quindi non vincolante.

Domenica sera, davanti ad una platea gremita di giornalisti, il rappresentante speciale dell’Onu per la migrazione, Louise Arbour, lo ha subito sottolineato: questo accordo non è vincolante ed è finalizzato ad una maggiore cooperazione tra Stati in materia di migrazione. Ma su di un punto l’ex alto magistrato canadese è stata ferma. «Non è una conferenza negoziale o consultiva. Domani (lunedì 10 dicembre) si firma ciò che si è deciso lo scorso luglio. È una riaffermazione di impegni presi in precedenza».

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Il Paese ospitante, il Marocco, ha profuso ogni sforzo perché la cornice della Conferenza fosse all’altezza della situazione. Ad accogliere migliaia di delegati è un grande spazio dove filari di palme e cactus portano a capannoni moderni simili a grandi tende. Sullo sfondo la catena innevata dell’Atlante. Ma l’assenza dell’Italia, il solo Paese che si affaccia sul Mediterraneo a non essere qui, non è passata inosservata.

Cosa è il global compact
Il Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare (o semplicemente Global Compact per l’immigrazione) è un documento promosso dall’Onu che prevede la condivisione di alcune linee guida generali sulle politiche migratorie. L’obiettivo è dare una risposta coordinata e globale al fenomeno. Questo documento, insistono anche qui a Marrakech i rappresentanti dell’Onu, si basa sul riconoscimento della necessità di un “approccio cooperativo per ottimizzare i benefici complessivi della migrazione, affrontando i rischi e le sfide per gli individui e le comunità nei paesi di origine, transito e destinazione”.
Il patto punta a realizzare 23 obiettivi in tema di immigrazione. Una sorta di approccio multilaterale a 360 gradi in cui sono impegnati tutti gli attori coinvolti. Si parte dalla raccolta dei dati come base per le politiche da implementare. Ma viene dato peso anche al contrasto dei fattori negativi e strutturali che impediscono alle persone di costruire e mantenere mezzi di sostentamento nei paesi di origine. Il patto, inoltre, intende ridurre i rischi e le vulnerabilità che gli individui affrontano nelle diverse fasi della migrazione (incluso la lotta al traffico di esseri umani). Le linee guida individuate nel documento sono la centralità delle persone, la cooperazione internazionale, ma anche il rispetto della sovranità di ogni Stato ed il rispetto delle norme internazionali.

Dalla crisi del 2015 a oggi: il cammino dell’accordo
L’accordo è probabilmente nato dalla gravissima crisi migratoria scoppiata nel 2015, quando i leader dei Paesi europei sono apparsi impreparati a gestire un flusso, inatteso, di rifugiati e migranti di enormi dimensioni. Il più grande dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Che ha avuto aspetti drammatici. «È stato intollerabile il numero dei migranti che hanno perso la vita durante questi flussi», ha precisato la Arbour, che ha poi aggiunto; «l’obiettivo era e resta l’adozione per un quadro regolativo, peraltro di principi, e non vincolanti, per migrazioni ordinate, sicure e nel quadro della legalità».
Il cammino è iniziato a New York, nel 2016, quando tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite hanno firmato la cosiddetta “Dichiarazione di New York” sui migranti e sui rifugiati. Di fatto sancendo l’avvio di una fase negoziale per arrivare ad un accordo. L’iter per sviluppare il patto ha poi preso il via nell’aprile del 2017. Il 13 luglio 2018 gli Stati membri dell’Onu hanno finalizzato il testo del “Global Compact per la migrazione sicura, ordinata e regolare”. Fino a oggi.
E’ un passo storico. Anche se l’accordo ha creato grande scontento, non solo tra i suoi nemici della prima ora, i populisti od i Paesi che adottano politiche migratorie molto restrittive, ma anche tra chi sin dall’inizio lo appoggiava fortemente ed ora è deluso dai continui rimaneggiamenti che ne avrebbero annacquato i contenuti.

I punti che non piacciono agli Stati contrari
Uno dei principi più invisi alle forze politiche di destra o comunque conservatrici, a partire dagli Stati Uniti, è quello che chiede «il riconoscimento e l’incoraggiamento degli apporti positivi dei migranti e dei rifugiati allo sviluppo sociale». Tra gli altri punti contestati c’è quello che prevede un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità che ospitano il maggior numero di rifugiati. Altri paesi, europei e non, temono poi che questo accordo sancisca un «diritto alla migrazione». Ed è questo l’argomento forte a cui i populisti ricorrono con frequenza, agitando lo spettro dell’invasione di migranti.

Chi è uscito dal global Comapct
L’ultimo paese a cambiare opinione è stato poche ore fa il Cile. I primi sono stati gli Stati Uniti di Donald Trump, già nel dicembre del 2017. Poi è stata la volta dell’Australia, nel luglio 2018, mese in cui è iniziata la deriva europea. La prima è stata l’Ungheria, uscita dall’accordo il 24. Seguita in ottobre dall’Austria, guidata dal dicembre del 2017 da una coalizione tra il Partito popolare, di centrodestra, e la formazione di estrema destra Partito della libertà. Il mese successivo una raffica di abbandoni dei Paesi dell’Est Europa. Il 14 novembre è uscita dall’accordo la repubblica Ceca, seguita il 20 novembre dalla Polonia. Con l’uscita della Slovacchia, il 25 novembre, il gruppo di Visegrád era al completo. Il 5 dicembre la piccola Repubblica dominicana, con una giustificazione discutibile – il global compact impedirebbe il controllo del suo confine con Haiti (Paese più povere dell’America) - ha detto no. Anche la Lettonia sembra contraria.

I dubbiosi: chi resta dentro ma non partecipa
Altri Paesi, tra cui la Svizzera e l’Italia hanno annunciato di non voler partecipare alla conferenza, tenendo di fatto in sospeso la loro adesione all’accordo fino a che non si saranno pronunciato i rispettivi Parlamenti. Altri Paesi che, secondo il rappresentante dell’Onu per la migrazione, sono «impegnati in ulteriori decisioni interne» sul Global compact sono Israele, Estonia, Slovenia e Bulgaria.
Vi sono poi dei paesi che potrebbero approvare il documento, aggiungendo delle note in cui preciseranno quella che è la loro interpretazione del Global compact. Tra questi potrebbero esserci i governi di Danimarca, Norvegia e Regno Unito .

In Belgio cade il Governo per il Global Compact
Un caso a parte è quello del Belgio, che sulla questione del Global compact ha visto cadere il governo . Dal 2014 il Paese è guidato da una coalizione che per la prima volta, e per ben quattro anni finora, è riuscita a tenere insieme da un lato i liberali francofoni e fiamminghi (Mr e OpenVld) e i cristianodemocratici fiamminghi (Cd&V) e, dall’altro, i nazionalisti fiamminghi della N-Va (primo partito della coalizione), alla loro prima esperienza in un governo federale. La decisione del premier Charles Michael di partecipare alla conferneza di Marrakech ha spinto i nazionalisti fiamminghi a ritirare i suoi ministri dal Governo. Michadel ora dovrà guidare un governo di minoranza fino al maggio del 2019.

La posizione dell’Italia
L’Italia ha partecipato a tutte le fasi del negoziato nel corso degli ultimi due anni. Ma il 27 novembre il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini ha dichiarato di essere contrario al Global compact , perché metterebbe sullo stesso piano «i migranti cosiddetti economici e i rifugiati politici», mentre altri esponenti della Lega hanno sostenuto le posizioni del ministro affermando che il documento implica un rischio di «immigrazione incontrollata. Impossibile per gli stati limitare i flussi migratori».
Per questo il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha rimandato al parlamento l’esame del piano sostenendo che Roma potrebbe accettare l’accordo in un secondo momento, dopo l’esame dell’aula: L’Italia quindi non parteciperà al vertice di Marrakech e per ora non aderirà al Global compact sull’immigrazione.

Flussi migratori
Su di un punto, almeno, non sembra esservi disaccordo. Né tra chi è contro il Global compact, chi è scettico e chi invece lo difende a spada tratta. I flussi migratori sono un fenomeno in forte crescita . Una realtà di cui, volenti o nolenti, i Paesi più sviluppati, ma non solo, dovranno tenere conto. Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite il numero dei migranti nel mondo è salito nel 2017 a 256 milioni di persone, il 49% in più rispetto al 2000.
Di questi, il 90% (secondo un rapporto di McKinsey diffuso nel 2016,) vive nelle città. «Attenzione – ha precisato l’inviato dell’Onu per la migrazione - Solo una piccola parte di questi migranti arriva nei Paesi industrializzati. In Africa l’80% dei migranti non lascia il Continente». In effetti i dati Onu segnalano che, con 36 milioni di migranti, l’Africa rappresenta solo il 14% dei flussi migratori mondiali. Tra questi 36 milioni restano nel continente l’80 per cento. Del restante 20% solo una quota minore, un milione di persone, migra in modo irregolare.
Quasi volesse fugare la paura degli Stati che potrebbero dire no all’accordo, la Arbour ha precisato. «Ripeto; sui migranti irregolari il patto non aggiunge nulla alle legislazioni internazionali vigenti. Non cambia e non obbliga nessuno Stato». E dopo? «CI aspettiamo più cooperazione e più entusiasmo per trasformare in realtà alcune disposizioni del patto».
La strada, però, appare ancora lunga.

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