ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùmisteriosa morte di 9 escursionisti

Russia, l’inchiesta sul massacro del passo di Djatlov riapre dopo 60 anni

di Antonella Scott

La tragica spedizione del passo di Djatlov nel 1959

3' di lettura

«Se potessi rivolgere a Dio una sola domanda, gli chiederei: che cosa è veramente successo ai miei amici quella notte?». Yuri Yudin era partito con loro. Era uno dei dieci giovani escursionisti, studenti - tranne uno - del Politecnico di Sverdlovsk, partiti nel gennaio 1959 per un trekking sugli sci verso gli Urali del Nord, verso la cima di una montagna chiamata Otorten. Sono montanari esperti. Dopo aver lasciato l’ultimo insediamento umano sul loro percorso, i ragazzi - tra loro due donne - proseguono con gli sci, ma Yuri sta molto male, a causa di una sciatica. Decide di tornare indietro.

Gli altri proseguono, attraversano quello che ora è chiamato Dyatlov Pass dal nome del leader del gruppo, Igor Dyatlov. Il primo febbraio, a causa di una tempesta di neve, decidono di fermarsi e di montare la tenda sul fianco di una montagna che i Mansi, la popolazione locale, chiamano Kholat Syakhl, la Montagna dei Morti. Nella notte del primo febbraio, nella tenda avviene qualcosa che spinge improvvisamente tutti gli escursionisti a precipitarsi fuori dalla tenda, tagliata dall’interno. Non semplicemente aperta. Fuori ci sono 30 gradi sotto zero, eppure i ragazzi escono così come sono, senza scarpe, senza gli indumenti più pesanti.

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I resti dell’accampamento del passo di Djatlov nel 1959

Li ritroveranno poco lontano, nel raggio di un chilometro e mezzo, ma in luoghi diversi: sei di loro morti per ipotermia, tre per traumi fisici, fratture al cranio e ferite al torace. Una delle ragazze è senza lingua, e senza più occhi. Due di loro avevano acceso un falò sotto un cedro, altri sembrano aver cercato disperatamente di ritrovare la tenda, alcuni sono caduti in un avvallamento nel bosco.

Avrebbero dovuto rientrare il 12 o 13 febbraio. Per qualche giorno i parenti, non avendo notizie, avevano pensato a ritardi e contrattempi, poi il 20 erano partiti i primi soccorsi: il 26 il ritrovamento. Le autorità sovietiche di allora, chiudendo il caso, affermarono che «una forza sconosciuta ma irresistibile» li aveva spinti a uscire. Nient’altro. Nella totale mancanza di testimoni e di prove, il mistero del Dyatlov Pass è presto diventato leggenda, intrecciando indizi seri e congetture fantasiose che, 60 anni dopo, ancora non hanno potuto dare una spiegazione. Cosa li ha minacciati? Le teorie avanzate sono 75: l’avvistamento di una o più luci in cielo ha fatto parlare di esperimenti nucleari e radiazioni, di esercitazioni militari, fenomeni paranormali, meteoriti, alieni in arrivo.

C’è chi ritiene che i ragazzi avrebbero visto qualcosa che non si doveva vedere; che avessero violato terre sacre per i Mansi; che fossero precipitati nel panico a causa di droghe, di scricchiolii nella notte, del timore di una valanga in arrivo. Si è parlato di questioni sentimentali, della presenza tra loro di un agente del Kgb, di una tempesta di vento e così via. L’ipotesi di un attacco, umano o di orsi o altri animali, sembra scartata per l’assenza di segni di lotta sui corpi, perché la tenda è solo tagliata, e dall’interno; intorno, le orme rilevate dagli inquirenti sono soltanto le loro. Le orme di nove persone. Perché senza scarpe? Le loro cose, nella tenda, sono intatte. E in quel luogo, riparato, non è mai stata registrata una valanga.

Il cadavere di uno degli escursionisti

Qualcuno ritiene credibile parlare di panico indotto da ultrasuoni: la reazione spinge a comportamenti irrazionali. Nei mesi scorsi invece un blogger russo ha parlato di un cratere di 30 metri di diametro individuato a tre chilometri dalla tenda grazie a foto satellitari. Secondo lui un missile, caduto accidentalmente contro la parete di roccia della montagna, esplodendo avrebbe svegliato e accecato i ragazzi. Altri pensano a ragioni più banali, forse per questo più probabili anche se meno avvincenti, come una lite degenerata. Ma il tempo, e il silenzio imposto sul caso dal regime sovietico fino agli anni 90, ha reso impossibile costruire delle certezze. Finché la Procura generale russa, esattamente a sessant’anni da quella terribile notte, ha annunciato settimana scorsa la decisione di riaprire l’inchiesta. In marzo un nuovo gruppo di specialisti partirà per il Passo Dyatlov.

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