la turchia e la nato

Erdogan acquista missili da Mosca, gli Usa minacciano sanzioni

di Roberto Bongiorni

(AP)

4' di lettura

Non è un momento facile per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Nonostante abbia poteri molto più forti che in passato, in virtù dell’entrata in vigore (lo scorso giugno) di un sistema ispirato ad un presidenzialismo molto spinto, i problemi si accumulano gli uni agli altri.

La svalutazione della lira ha ripreso la sua corsa. E i recenti tentativi della Banca per frenare la caduta non sembrano finora molto efficaci. La recessione rischia poi di trascinarsi ben al di là del primo trimestre del 2019, come avevano inizialmente confidato gli analisti, forse peccando di ottimismo. L'elettorato, alla prese con un'inflazione comunque sempre intorno al 20%, comincia a mostrare segni di insofferenza. E le elezioni amministrative, che si tengono oggi in Turchia saranno un banco di prova importante, quasi un referendum sulla popolarità di Erdogan e del suo partito, l'Akp. Anche perché sono in gioco grandi città come Istanbul e Ankara. La questione siriana, poi, resta irrisolta. I tre milioni e mezzo di rifugiati siriani presenti in territorio turco sono ormai una zavorra insostenibile sui conti pubblici già provati dalla crisi. Un'altra campagna militare contro le milizie curdo-siriane (Ypg), come più volte annunciata dallo stesso presidente, assesterebbe un altro duro colpo alle finanze dello Stato.

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Ma anche in Medio Oriente può accadere che piova sul bagnato. E ad una situazione già fin troppo complessa da gestire se ne aggiunge un'altra forse ancor più spinosa; la questione dell'acquisto dei sistemi missilistici anti-aerei S 400 prodotti dalla Russia.

L'acquisto dei missili russi, un grattacapo per Erdogan
Nel corso del 2017, quando le relazioni tra Stati Uniti e Turchia erano già compromesse, era filtrata la notizia, poi confermata dallo stesso governo turco, di un accordo con il Cremlino per acquistare sofisticati batterie missilistiche s-400. Un pacchetto da 2,5 miliardi di dollari che includeva anche i sistemi radar, le rampe di lancio e il centro commando. La consegna era prevista per il mese di luglio del 2019.

Sin dall'inizio c'era però un particolare. Che non era un dettaglio. La Turchia fa parte della Nato, all’interno della quale rappresenta il secondo esercito dopo quello americano. Comprare armi dal nemico numero uno della Nato è considerato agli occhi degli Stati Uniti un'azione inaccettabile. Tanto che la reazione fu immediata.

Se la Turchia andrà avanti con questo accordo – avevano tuonato i vertici del Pentagono - rischierà l’espulsione dal programma Nato sui caccia F35. Il Governo di Erdogan avrebbe dovuti acquistare 100 F35 dagli Stati Uniti. Non solo. Washington non ha esitato a minacciare le sanzioni. Che scatterebbero come previsto da una normativa ad hoc, l' America's Adversaries Through Sanctions Act Caatsa, che in sostanza colpisce con sanzioni secondarie le transazioni con il settore della Difesa e l’intelligence russa.

Gli Stati Uniti minacciano sanzioni
Ma le cose sono ancor più complesse di quel che già appaiono. Se dovessero scattare delle sanzioni contro la Turchia, gli Stati Uniti potrebbero anche sospendere Ankara dal programma Lockheed Martin F-35 Lightning II e impedire che continui a fabbricare i componenti di questo aereo militare. Ma al contempo Washington si troverebbe costretta a restituire un miliardo di dollari ad Ankara per il suo contributo nel programma di costruzione degli F 35. Senza contare che rimpiazzare le aziende specializzate turche, che forniscono circa 800 componenti del jet da combattimento F-35, con un altro fornitore, richiederebbe, secondo gli esperti, almeno due anni. In questo scenario a farne le spese sarebbero proprio tutti. Anche gli altri Paesi Nato che dovrebbero ricevere gli F35.

Eppure il presidente turco, pur di preservare le strategiche (anche se non facili) relazioni con la Russia, è deciso ad andare avanti per la sua strada.

Faremo ciò che riteniamo necessario per assicurare la nostra sicurezza nazionale, acquisendo qualsiasi tecnologia che riterremo opportuna da qualsiasi Paese

Erdogan insiste che non vi è il minimo conflitto di interessi tra l’acquisto degli f35 e quello del sistema missilistico russo s-400-. Lo scorso gennaio il suo portavoce, Ibrahim Kalyn, lo ha ribadito a chiare lettere. «Non c'è la minima connessione tra l’acquisto del sistema missilistico russo S-400 e del sistema Patriot americano. Dal nostro punto di vista, questi argomenti non sono collegati tra loro. La nostra posizione rimane la stessa: faremo ciò che riteniamo necessario per assicurare la nostra sicurezza nazionale, acquisendo qualsiasi tecnologia che riterremo opportuna da qualsiasi Paese», ha detto Kalyn.

Patriot a condizioni vantaggiose: la contro offerta (ignorata) degli Usa
Cosa c'entrano i Patriot? Il Dipartimento di stato aveva approvato un possibile accordo con la Turchia per la vendita dei sistemi missilistici Patriot per 3,5 miliardi di dollari. Da parte sua il governo di Ankara aveva richiesto l'acquisto di quattro set di 20 lanciatori e 80 missili intercettori. Durante le negoziazioni la delegazione americana incaricata, che ha visitato Ankara, aveva aggiunto 4 stazioni radar AN / MPQ-65, 10 dispositivi di antenne, 20 lanciatori M903, apparecchiature di prova altre attrezzature. Nulla da fare. Erdogan non vuole rimangiarsi la parola con i russi.

Anche il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha spiegato che l'eventuale acquisto dei sistemi di difesa missilistica americani da parte della Turchia non annullerebbe l'accordo con la Russia per la vendita degli S-400.
Intanto, dal 2017, anno in cui è stato annunciato l'accordo, sono trascorsi quasi due anni. Ma le posizioni, tutte intransigenti, sono rimaste le stesse. E le scadenze si avvicinano.

In questa partita, ancora tutta da giocare, sta accadendo qualcosa di significativo. Erdogan, il nuovo sultano, si sta sempre più avvicinando a Est.

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