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M5S e Lega prigionieri dei vincoli del «contratto»

di Paolo Pombeni

Lega e M5s cercano accordo su manovra e flat tax

2' di lettura

Si dice che le parole possono essere pietre. Più semplicemente spesso sono delle gigantesche trappole in cui finiscono invischiati coloro che le usano con leggerezza. È semplicemente quanto sta succedendo nel governo giallo-verde che si trova a fare i conti non tanto con le promesse elettorali (quelle le hanno sempre fatte tutti e si sa che non vincolano più di tanto) quanto con la trovata che sembrava innovativa di fissarle in un “contratto”.

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Le parole contano, e contratto significa un accordo che implica impegni vincolanti la rottura dei quali non può essere senza conseguenze. Così oggi tanto Salvini, quanto soprattutto Di Maio si trovano intrappolati in impegni che non è possibile onorare se non pagando dei prezzi che è dubbio siano sopportabili dal sistema economico-finanziario italiano. Ammettere che quel che ci si è impegnati a fare con tanto di “contratto” è difficilmente realizzabile comporta una perdita di credibilità che è molto rischiosa per una maggioranza che attende la prova delle elezioni europee come l’occasione per certificare la sua forza strabordante.

La via di fuga classica che consiste nell’invocare il sopravvenire di condizioni avverse che non erano prevedibili, rinviando tutto a tempi più favorevoli (che si assicura verranno a breve), è rischiosa proprio per l’incombere di quello che finirà per essere percepito come un referendum sulla qualità della “svolta” che si pretende di avere messo in campo. La messa in discussione senza sconti della affidabilità dei nuovi equilibri politici non viene solo da una opposizione interna che è così acciaccata da fare poca paura, ma da una costellazione di centri politici europei che hanno il loro interesse nel contrapporsi al “populismo italiano” come al nuovo spettro che incombe sul continente.

Dunque il banale ricorso alla massima di tutti gli avvocati che vogliono indebolire un vincolo contrattuale (e Conte è un avvocato), il classico ad impossibilia nemo tenetur, non sembra esperibile, non fosse altro perché sia i leghisti che i pentastellati hanno costruito la loro fortuna nel denunciare come inconsistenti e strumentali le giustificazioni dei precedenti governi per il rigetto delle loro “audaci” ricette: non ci sono le risorse. Di Maio che butta lì che un ministro serio le risorse deve saperle trovare non si abbandona ad una voce dal sen fuggita, ma recita liturgicamente uno dei mantra su cui è nato il movimento di cui è capo politico (poi ridimensiona, ma quello è il solito giochetto della politica politicante). Il pericolo della situazione attuale è tutto qui. Come l’animale in trappola per uscirne finisce per lasciarsi andare a comportamenti disperati, c’è da temere che i due vicepremier non possano sfuggire alla tentazione di giocare il tutto per tutto pur di ottenere almeno un simulacro di vittoria sulle loro proposte chiave. Il problema è che ci si illude che i simulacri, essendo gusci mezzo vuoti, non comportino costi: non è così, perché innescano inevitabilmente meccanismi che poi è difficile mantenere entro confini accettabili.

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