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Martina lascia: nel Pd al via candidature e posizionamenti in vista del congresso

di Emilia Patta

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3' di lettura

«Con questo Forum si completa il mio mandato ricevuto dall’assemblea nazionale a luglio. Nei prossimi giorni con la segreteria nazionale concluderemo questa fase perché il mandato era questo: costruire un percorso dove raccogliere idee per una prospettiva e preparare il Pd a nuova battaglia. Chiedo alla presidenza di riconvocare l’assemblea in tempi giusti: l’11 novembre è una data buona per essere conseguenti a una nuova fase».

Martina verso le dimissioni, congresso al via
Con la due giorni programmatica di Milano il segretario “pro tempore” Maurizio Martina chiude dunque il suo mandato e nei prossimi giorni darà le dimissioni, atto formale che avvia la fase congressuale. Il dato è tratto, o almeno così sembra. Perché le pressioni per rimandare il congresso a dopo le elezioni europee di maggio sono forti e dal palco della kermesse milanese il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, renziano doc, ha detto chiaramente quello che molti pensano ma non dicono: «Alle prossime elezioni europee il Pd dovrà andarci serrando le fila. La campagna elettorale della prossima primavera sarà importantissima, come quella del ’48, sia per il Paese sia per l’Europa. L’inizio del 2019 coincide con il periodo peggiore, se questo dovesse portare a rimandare il congresso non mi straccerei le vesti…».

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La tentazione dei renziani: rinviare a dopo le europee
Tentazioni renziane a parte, a questo punto sembra difficile che il congresso possa essere rimandato. Anche perché il variegato partito degli oppositori di Matteo Renzi, che vede tra le sue fila anche alcuni big della ex maggioranza renziana come l’ex premier Paolo Gentiloni e l’ex ministro Dario Franceschini, punta proprio sul congresso e sull’elezione di un nuovo segretario per superare il “renzismo” e ridimensionare la figura dell’ex leader che ancora è preponderante nel partito e nei gruppi parlamentari. Insomma, nell’ottica gentilonian-franceschiniana l’attuale impasse del Pd si supera solo voltando pagina.

Se la candidatura di Martina rimescola i posizionamenti
Martina ha puntato molto su questa due giorni milanese. E il suo discorso di chiusura - forte attacco al governo giallo-verde; difesa di quanto fatto negli scorsi anni dai governi Renzi e Gentiloni ma nel contempo necessità di andare oltre, rispondendo con più forza al disagio sociale; e infine rilancio dell’idea di una grande lista europeista per coinvolgere tutti gli anti-sovranisti che non vogliono far parte del Pd – è apparso quasi come un manifesto programmatico. Il segretario uscente sta seriamente pensando di candidarsi, e fra qualche giorno assieme alle sue dimissioni potrebbe arrivare anche l’annuncio di voler correre alle primarie. La possibilità che anche Martina scenda in campo ha naturalmente messo in allarme i due candidati considerati più forti: da una parte il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, appoggiato dalla sinistra del partito e da Dario Franceschini e i suoi, dall’altra l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, appoggiato dall’area renziana e da molti sindaci e che dovrebbe sciogliere la riserva in settimana. Martina potrebbe drenare voti a entrambi, soprattutto se alla fine sarà appoggiato da due dirigenti di peso come il presidente del partito Matteo Orfini e il capogruppo alla Camera Graziano Delrio.

Il “patto per l'unità” tra Minniti e Zingaretti
Da qui, anche, il “patto per l’unità” stretto durante un pranzo romano nel week end tra Minniti e Zingaretti: se nessuno dei tre candidati che si sfideranno alle primarie (saranno i congressi dei circoli tra gli iscritti, come prevede lo statuto, a selezionare i primi tre) raggiungerà il 51% e sarà dunque necessario eleggere il nuovo segretario in assemblea nazionale, l’accordo tra i due è che chi arriverà secondo farà confluire i suoi voti sul primo in modo da rispettare il voto popolare. E in modo, soprattutto, da neutralizzare le possibilità di manovra di Martina in assemblea impedendogli di fare l’ago della bilancia.

Minniti parte in testa nei sondaggi
Dalla nascita del Pd nel 2007 tutti i segretari sono stati eletti con più del 51% direttamente tramite le primarie: l’elezione in assemblea sarebbe la prima volta, e non sarebbe certo un bel ritorno di immagine per il Pd. Eppure la possibilità c’è, stando ai primi sondaggi: secondo Antonio Noto, che tuttavia non prende ancora in considerazione la candidatura di Martina, si andrebbe verso un testa a testa tra Minniti e Zingaretti, con il primo in leggero vantaggio, ma sotto il 50% (43% contro 41%).

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