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Ici Chiesa, una sentenza che riapre il contenzioso chiuso dal «laico» Monti

di Carlo Marroni

Ue: Italia recuperi l'Ici dalla Chiesa

4' di lettura

La decisione della Corte di Giustizia Ue riporta indietro il calendario al 2012. Fu il governo di Mario Monti a chiudere la partita dell’Ici della Chiesa, questione aperta da anni e tenuta sul banco dei contenziosi, politico-mediatici ma anche giudiziari fin dai primi anni 2000. Era il febbraio 2012, vigilia del ricevimento a Palazzo Borromeo per i Patti Lateranensi con i vertici della Repubblica e quella della Chiesa cattolica quando fu presa la decisione.

L’accordo siglato sotto Monti
L’accordo, che sistemava anche il contenzioso con la Ue, era chiaro: gli organismi della Chiesa che non pagavano l’Ici, poi divenuta Imu (una assoluta minoranza, secondo le gerarchie all’epoca interpellate), da quel momento avrebbero dovuto pagare. Ma senza andare a colpire quelle aree di solidarietà – oratori, spazi parrocchiali, mense per i poveri, aule dove si insegna agli immigrati – immobili dove accede anche (spesso soprattutto) chi cattolico non è e che di commerciale non hanno veramente nulla. Un vanto per Monti, percepito come “laico” ed esponente di un mondo distante anni luce dalle stanze papaline, che di fatto invece è stato l’ultimo premier a frequentare molto assiduamente il mondo vaticano e che in extremis ha conosciuto da capo del governo l’appena eletto Papa Bergoglio. Una decisione che ha retto anche nel 2016, ma che oggi torna in alto mare.

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La tesi della Chiesa
La tesi della Chiesa è nota: non ci sono aiuti di Stato illegittimi.. In sostanza si fa perno sul fatto che si tratta di beni immobili senza scopo di lucro, ai quali si applicano le norme sulle attività socialmente utili, i cui vantaggi per la comunità sono superiori al potenziali gettito. E qui il riferimento è, per esempio, agli oratori o ai centri di ascolto della Caritas. Infine si sottolinea come questi sconti sono applicabili a tutti gli enti senza scopo di lucro, e non solo alla Chiesa cattolica. L’esenzione riguarda l’Ici per gli immobili utilizzati da un ente non commerciale e destinati totalmente a una delle otto attività specificate dalle legge (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive). Questo il fondamento dell’esenzione, cui si aggiunge che questi enti non devono redistribuire gli eventuali utili - che quindi vanno reinvestiti nell’attività principale - neppure in caso di scioglimento. L’esenzione risale al 1992 e nel 2006 si è arrivati ad un principio-base: anche se l’attività svolta all’interno degli immobili ha struttura commerciale, fa fede la modalità di esercizio di ciascuna attività, e sempre senza fini di lucro. A questi elementi va aggiunto che sono fuori discussione i beni appartenenti alla Santa Sede, che godono di esenzione regolata da un Trattato internazionale. C’è infine chi fa una ulteriore distinzione tra i beni della Chiesa e quelli degli ordini religiosi, che sono quelli con le maggiori strutture ricettive, specie per il turismo religioso, che è uno dei punti maggiormente controversi in sede nazionale.

La gran parte degli immobili delle congregazioni religiose
Di che cifra parliamo, in termini di valore dell'imponibile tassabile? Difficile fare un stima credibile. Si tratta di immobili che fanno capo soprattutto a congregazioni religiose (salesiani, gesuiti, francescani..), alle diocesi e a enti che a vario titolo fanno capo al mondo religioso. Quindi un arcipelago di beni – raramente stimati e forse mai davvero censiti – che non sempre possono essere ceduti o messi a reddito. Il mondo immobiliare “religioso”, quindi va distinto tra le congregazioni, le diocesi (quindi la Cei) e il Vaticano, presente soprattutto a Roma, praticamente non interessato dalla decisione della Ue in quanto extra-territoriale e titolare di immobili non adibiti alle attività sospettate di evasione.

Il valore
Ma quanto vale il patrimonio del Vaticano? Almeno 5-6 miliardi, esclusivamente di case e palazzi “non funzionali” all'attività religiosa. Solo in Italia (e in gran parte a Roma), in mano al Vaticano. E tutta la Chiesa nel mondo conta su un patrimonio valutato oltre 2mila miliardi, comprese università e ospedali. Infatti va fatta bene una distinzione: c’è un patrimonio della Santa Sede - quindi il governo centrale e lo stato - e un altro ben più vasto che fa capo alle diocesi e alle congregazioni religiose. Il Vaticano ha tre enti cui fanno capo gli immobili, ma anche alcuni portafogli finanziari. Il più consistente è l’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica), che è in pratica il forziere immobiliare del Papa: gli asset liberi da vincoli funzionali (per esempio il palazzo della Cancelleria a Roma non può certo essere conteggiato...), quindi appartamenti e terreni, ammontano a 3-4 miliardi. «Non ci sono valutazioni puntuali, anche perché la situazione del mercato è complessa», dice al Sole 24 Ore una fonte interna dei Sacri Palazzi. Poi ci sono le residenze, centralissime, di Propaganda Fide, che possiede circa 500 appartamenti in sessanta palazzi nei luoghi più belli della Capitale e che sono gestiti in modo autonomo dall’amministrazione centrale della Santa Sede. Immobili questi di prestigio e molto spesso affittati ai privati che hanno un valore che si aggira in quasi due miliardi. Infine c’è il Governatorato della Città del Vaticano, ma i suoi sono perlopiù immobili interni allo stato, anche se interessati alla spending review del Papa, che ha dato indicazioni su come gestire questi appartamenti, specie dopo il caso dell’attico del cardinale Tarcisio Bertone. In ogni caso sono 26 le istituzioni a cui fanno capo a vario titolo case e palazzi, cui si aggiungono quelle “territoriali” e “religiose”.

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