ASSEMBLEE unindustria

Como, Lecco e Sondrio al Governo: nessuna visione sul nostro futuro

dal nostro inviato Luca Orlando

3' di lettura

ERBA (Co) - Un Paese che torna al passato, con riforme che riportano indietro le lancette di 50 anni. Mentre quello che servirebbe è esattamente l’opposto: una visione prospettica, che guardi al futuro. Il messaggio recapitato al Governo dalle imprese di Como, Lecco e Sondrio è chiaro: la richiesta di un cambio di direzione radicale («gli imprenditori vanno da una parte, il Governo dall’altra») per dare prospettive ai giovani ed evitare che la seconda potenza manifatturiera d’Europa scivoli nelle classifiche, avvitandosi in una recessione strutturale.

Richiesta corale, e non solo perché sottolineata dai numerosi applausi del migliaio di imprenditori arrivati all’evento organizzato ad Erba. Ma anche per la novità di un’assemblea congiunta, con il presidente di Unindustria Como Fabio Porro e il suo omologo per Lecco e Sondrio Lorenzo Riva ad alternarsi più volte nella lettura del testo, sottolineando anche in termini simbolici la completa condivisione di contenuti e messaggio.

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Che arriva da un’area a forte vocazione manifatturiera ma che ancora sconta un fortissimo gap infrastrutturale, primo elemento di profondo dissidio rispetto alle politiche del Governo. Perchè attraverso le infrastrutture - spiegano gli imprenditori - in realtà non transitano soltanto persone, merci o dati ma si creano le condizioni per la crescita, dei territori e dell’intero Paese. Ecco perché di fronte ad una rete rimasta alle esigenze di oltre 50 anni fa preoccupa il clima di avversione non solo verso le imprese ma più in generale verso il progresso. «Fermare le grandi opere -spiegano i due presidenti - significa tagliarci fuori da un mondo che invece continua a correre».

Chi ha l’ambizione di guidare il Paese, spiegano Porro e Riva, deve avere una visione. Ma se da un lato sono numerosi per le imprese i temi strategici sui quali il Governo ha deciso di non investire, nella aree in cui invece invece ha pensato di intervenire i risultati non sono considerati affatto soddisfacenti. «Perché il lavoro - spiegano - non si crea per legge ma si può invece distruggere con un decreto».

Il riferimento, in un’assemblea dedicata proprio al capitale umano, è al decreto dignità, criticato non solo in termini tecnici per la reintroduzione della causale nei rapporti di lavoro a tempo determinato, ma contestato nella sua impostazione di fondo, in quell’equazione considerata del tutto impropria tra la “dignità” e l’inamovibiltà delle persone. Un modo per tornare indietro di 50 anni, dimenticando che lo sviluppo e la tutela dell’individuo poggiano invece su altri pilastri, come la formazione o i programmi di welfare. Una strada, quella imboccata dall’esecutivo, che finisce con l’irrigidire un mercato del lavoro che invece anche grazie al Jobs Act aveva iniziato a mostrare segnali di forte vivacità.

Dignità, tuttavia, che per le imprese rischia di venir meno anche per l’avvio del reddito di cittadinanza, «terribile errore concettuale e culturale», esito di una visione che sceglie la sussistenza e non l’acquisizione di abilità nuove e più alte, terreno di gioco necessario in un mondo in cui ci si confronta sempre più sulle competenze.

Una misura criticata per la sua dubbia sostenibilità economica ma soprattutto per il messaggio che lancia ai giovani, «un assegno mensile per non lavorare», considerato peraltro «irrispettoso degli italiani e delle loro ambizioni», a maggior ragione incomprensibile in un territorio (qui il tasso di disoccupazione medio è poco oltre la metà della media nazionale) in cui è il lavoro lo standard, l’elemento che garantisce sostegno economico ma anche senso e dignità. Inammissibile, dunque, «dire ad un popolo laborioso e dalla tradizione industriale gloriosa che aspettare sia meglio che agire».

Investire in innovazione e formazione è invece la via del futuro e proprio per questo sarebbe «un errore madornale» togliere gli incentivi 4.0 appena avviati dal precedente governo, così come ridurre le ore dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, un modo certo per riportare indietro il paese, cancellando opportunità di maggiore occupazione per i giovani.

A cui Porro e Riva si rivolgono invitandoli a coltivare le ambizioni, a puntare in alto, sviluppando un pensiero critico autonomo. Che non può formarsi - spiegano - solo attraverso i social.

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