maggioranza

Dalle gaffe di Toninelli ai malumori di Savona: il governo e le tentazioni di rimpasto

di Manuela Perrone

Toninelli a quattro zampe. L'ultima gaffe del ministro 5S

3' di lettura

Non c’è giorno, a quasi sei mesi dalla nascita del Governo gialloverde, che nei corridoi dei palazzi romani non si sussurri la parola “rimpasto”. Voci che aumentano quando la navigazione si fa più tempestosa. Era successo all’indomani della conferma del 2,4% come tetto deficit-Pil nel 2019, che suggellava la vittoria dei leader dei due partiti di maggioranza e la sconfitta della linea del ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Le dimissioni temute non arrivarono, e il titolare dei conti pubblici si è nel frattempo adeguato, pur non rinunciando, come ieri, a dirsi preoccupato per le conseguenze sui mutui di uno spread ormai stabilmente sopra i 300 punti base.

Oggi le indiscrezioni sul malessere all’interno dell’Esecutivo si concentrano su altri ministri. L’insospettabile Paolo Savona, ad esempio, l’estensore del “piano B” sull’uscita dall’euro che tanto aveva suscitato allarme prima del suo ingresso nel Governo e che gli era costato il dirottamento dalla poltrona dell’Economia a quella, meno cruciale, degli Affari europei. Dopo la bocciatura definitiva della manovra da parte della Commissione Ue, filtrano da lui, il più anziano e il più autorevole del Governo per storia personale e vissuto politico, i malumori più rilevanti. D’altronde a inizio ottobre, in tempi non sospetti, era stato Savona ad affermare pubblicamente che «se ci sfugge lo spread bisogna cambiare la manovra». Un mese e mezzo dopo, nessuno sembra avere voglia di ascoltarlo. Da testa d’ariete è diventato gambero. E oltre che su modifiche della manovra medita, come racconta un retroscena del Corriere della Sera, su una modifica della compagine governativa, a partire da se stesso.

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Ma il ministro in mattinata smentisce seccamente: «Questo è un sogno del Corriere della Sera, che chiede le mie dimissioni dal momento del mio insediamento». Il vicepremier leghista Matteo Salvini lo blinda: «Savona è uno degli assi portanti di questo Governo. Lasciamo perdere i gossip, quando c’è un Paese da governare. Non credo a ministri dimissionari, è un Governo che in cinque mesi ha fatto tanto, e il mio obiettivo è di fare altrettanto nei prossimi 5 anni».

Diverso il caso del ministro delle Infrastrutture, il pentastellato Danilo Toninelli. Alle sfortune contingenti – prima il terribile incendio sul viadotto della via Emilia a Bologna, poi la tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova – si sono sommate le troppe gaffe inanellate, anche a causa di una gestione sbagliata dei social, e si è aggiunta soprattutto la fatica di dover fronteggiare i dossier più divisivi per M5S e Lega, quelli sulle grandi opere, Tav in primis. Il cannoneggiamento dei leghisti, soprattutto al Nord, è sfiancante. Le tensioni con il vicepremier e capo politico del Movimento, Luigi Di Maio, covano sottotraccia da mesi. Lo stratagemma dell’analisi costi-benefici è servito finora a prendere tempo, ma in tanti si chiedono: fino a quando potrà tirare la corda? Sull’Alta Velocità Torino-Lione tutto si gioca sulle parole del contratto di governo: «Ci impegniamo a ridiscuterne integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». La prima decisione – cosa fare dei bandi bloccati - andrà presa a breve, mentre a Torino la sindaca Chiara Appendino deve districarsi tra la protesta dei “sì-Tav” (il mondo produttivo della città) e le battaglie dei “no-Tav”. E ripartono i sospetti di un rimpasto subito dopo la manovra, magari sostituendo Toninelli con un esponente M5S oggi nel sottogoverno.

Nel mirino erano finiti settimane fa altri ministri Cinque Stelle, dalla titolare della Difesa Elisabetta Trenta a quella della Salute, Giulia Grillo. Vicende gonfiate, legate a qualche confronto più aspro nell’Esecutivo e a qualche lamentela (vale per Grillo) per la gestione del tema vaccini, e puntualmente smentite. «Il Governo durerà cinque anni», continuano a ripetere Di Maio e Matteo Salvini, nonostante i dissidi e gli incidenti sempre più evidenti nell’iter dei provvedimenti in Parlamento che fanno ripetutamente profetizzare alle opposizioni un’implosione a breve dell’Esecutivo. Con annessi scenari futuribili: il più accreditato, come raccontava ieri un esponente del Pd, è quello di Salvini premier sostenuto dal centrodestra e da drappelli di transfughi “responsabili” da altri gruppi.

Certo è che sull’eventuale rimpasto peseranno le volontà dei singoli, oltre alle tentazioni dei leader. Tanto più che dovrà dire la sua il premier Giuseppe Conte, ma soprattutto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il suo occhio è più vigile che mai. Perché cambiare i cavalli a gennaio, quando l’Ecofin dovrà decidere se accogliere le raccomandazioni della Commissione e procedere con le sanzioni correlate alla violazione della regola del debito, potrebbe apparire eccessivamente rischioso. Un segno di non compattezza e di fragilità dell’Esecutivo. Con il pericolo di reazioni immediate sui mercati, proprio alla vigilia della campagna elettorale per le europee di maggio.

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