politica 2.0

Governo, la crisi gira intorno alla nuova manovra

di Lina Palmerini

3' di lettura

La via crucis del Governo non finirà domani. La settimana di passione si allunga, dovrà superare la strettoia del decreto crescita su cui ormai sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini si giocano una buona fetta di credibilità mentre sul tavolo resta la domanda su cosa fare di questa alleanza. Dopo il caso Siri e poi l’attacco dei 5 Stelle a Giorgetti per l’assunzione del figlio di Arata, la Lega ha alzato il tiro su Roma e la Raggi ma sono posizionamenti in attesa che qualcuno faccia la dichiarazione ufficiale di guerra. Chi lo deciderà e quando lo farà è ancora un punto di domanda se è vero che Salvini si è voluto prendere un po' di tempo per riflettere.

Rimbalzano notizie sull’idea di sfruttare la finestra di ottobre per andare alle urne, oppure dare un colpo d’acceleratore e provarci già in estate mettendo in rapida successione le elezioni europee e quelle nazionali. Una sorta di doppio turno per il leader leghista che massimizzerebbe il bottino di voti di cui raccontano i sondaggi. Certo la scelta non è semplice e soprattutto non sarà solitaria visto che lo scioglimento delle Camere lo decide il capo dello Stato. E quella scadenza d’autunno ha un grosso svantaggio che verrebbe attentamente soppesato al Quirinale per il fatto di essere così a ridosso della legge di bilancio. Sarebbe un azzardo provocare la caduta del Governo con un quadro economico che resta incerto e che Tria (costantemente in contatto con il Colle) cerca di disciplinare con scarso successo. Già perché lo scontro ormai quotidiano tra i due vicepremier non deve far dimenticare che l’altro epicentro della crisi è il titolare dell’Economia già oggetto di chiari segnali di sfratto da parte di entrambi gli azionisti politici.

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È vero, quindi, che la tensione si è alzata sull’inchiesta che coinvolge Siri e che la Lega sta “caricando” sulla Raggi (la norma sul debito di Roma è uno dei punti caldi del decreto crescita), ma sarebbero tutti passaggi superabili se ci fosse l’intenzione di andare avanti e soprattutto se ci fosse ancora la possibilità di distribuire agli elettori il frutto delle promesse, come sono state quota 100 e reddito di cittadinanza. Il punto, invece, è che adesso Salvini e Di Maio non hanno più la certezza di poterlo fare perché con la prossima legge di bilancio i margini sono diventati più stretti di un anno fa e quelle promesse sono già un carico per gli anni futuri e non lasciano spazi finanziari per altro. E allora la scelta di una crisi politica per Salvini gira necessariamente intorno alla strategia sulla prossima manovra. Lui non può far cadere il Governo senza sapere prima come affronterà quel passaggio, visto che con un nuovo voto lo gestirebbe in prima persona, da neo premier. Vuole farlo da leader attento alle voci più responsabili del Nord o da sovranista in lotta con l’Europa? Qua sta il dilemma, che non è ancora sciolto anche per l’incertezza su quale sarà il nuovo scacchiere dell’Ue dopo il 26 maggio. Mentre una via per continuare con Di Maio sarebbe ritrovare un collante politico nella sfida a Bruxelles e ai mercati sforando il 3% (ma senza più Tria). Un’avventura da condividere per ridare senso a un’alleanza oggi logorata ma un azzardo per il Paese.

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