analisi partito di centro

L’accelerazione di Calenda e la competition di Renzi

di Emilia Patta

(ANSA)

4' di lettura

Il meno che si possa dire, a due giorni dalla proclamazione dei risultati delle elezioni europee che hanno fotografato il Pd secondo partito dopo la Lega e il tracollo del M5s, è che la tregua a Largo del Nazareno sia finita. E a differenza che in passato, quando le critiche e le scissioni sono avvenute a sinistra, ora è il centro del Pd in sofferenza e in movimento. E nuove scissioni per il martoriato partito nato a vocazione maggioritaria in un'altra epoca sono all'orizzonte.

Un nuovo partito di centro alleato con il Pd?
Le danze sono state aperte di prima mattina da Carlo Calenda, eletto con un boom di preferenze nella lista del Pd-Siamo europei del Nord Est e ancora non insediatosi a Strasburgo. «Pronto a fondare un partito alleato del Pd», titola a tutta pagina Repubblica pubblicando un’intervista all'ex ministro di Renzi e Gentiloni. Certo, Calenda precisa che in ogni caso non si tratterebbe di una vera scissione («Sono iscritto al Pd e lavoro con il segretario Nicola Zingaretti, ma a mio avviso serve un soggetto di centro liberal-democratico. Mi muoverà solo se la decisione sarà condivisa»). Poi la smentita via twitter: «Per essere chiari non ho mai detto che fonderò un nuovo partito. Ho anzi specificato che rimango nel Pd e solo se me lo chiedesse Zingaretti in vista di un'alleanza elettorale potrei dare una mano a costruire la gamba lib-dem. Mi pare che il ragionamento sia stato invertito».

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L'accelerazione improvvisa di Calenda...
In realtà il progetto è in campo da settimane, a partire dalla rete Siamo europei, e l’ex ministro ne ha parlato più volte con i suoi. Ma sembrava aver deciso di attendere l’insediamento a Strasburgo e l’evolversi della situazione politica generale in Italia. Il primo passo avrebbe dovuto essere l’iscrizione al nuovo gruppo di collegamento tra liberali dell'Alde e Pse a cui sta lavorando il presidente francese Emmanuel Macron. Come mai questa accelerazione, almeno negli annunci e nei contro-annunci?

… e la “concorrenza” dei comitati civici di Renzi
Conta, come spesso avviene in politica, il carattere impetuoso dell’uomo. Ma conta di più la presenza ingombrante dell’ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi nello stesso potenziale campo politico. Renzi ha fin qui smentito di voler uscire dal Pd, e ha anzi rivendicato la lealtà dimostrata in campagna elettorale a sostegno del partito. Ma martedì sera, nell’analisi dei risultati del voto in diretta Facebook, pur evitando affondi nei confronti del segretario Zingaretti ha fatto intendere tra le righe di muoversi in autonomia. «Siamo leali verso l'Italia non verso la ditta», ha detto incidentalmente. E ha lodato il successo dei “suoi” sindaci eletti al primo turno (Dario Nardella a Firenze, Giorgio Gori a Bergamo e Antonio Decaro a Bari) nonché il successo dell’attività dei suoi Comitati civici, arrivati a quota 800 e coordinati dal fedele Ettore Rosato. Il 12 luglio Renzi stesso parteciperà alla prima grande convention nazionale dei circoli incentrata sul tema caro all'ex leader delle fake news. Tanto basta a far prefigurare un partito in nuce fondato appunto sui sindaci e sui comitati civici.

L'analisi comune di un Pd fermo a un anno fa
L'accelerazione di Calenda sembra dunque essere dettata dalla volontà di marcare il campo prima del suo possibile concorrente. Difficile pensare che nascano addirittura due partiti nella stessa area politica già in parte presidiata dai radicali di Più Europa (sarebbe senz’altro un suicidio), ma il messaggio a Renzi è chiaro: ci sono anche io. Al di là dei protagonismi personali, c'è l'analisi comune sul risultato del Pd: 100mila voti in più o in meno che siano, i voti reali depurati dall’effetto astensione che ha consegnato un buon 22,8% sono più o meno gli stessi di un anno fa quando il Pd si fermò a 18 e rotti per cento.

La difficoltà di recuperare i voti M5s
Non sono stati recuperati se non in minima parte i famosi presunti voti di sinistra in uscita dal M5s, che sono invece andati alla Lega e all’astensione, e a sinistra del Pd non è rimasto quasi più nulla da aggregare (la lista Sinistra si è fermata a un deludentissimo 1,7%, mentre gli scissionisti bersaniani sono di fatto rientrati nel Pd con l'accordo per la “lista unitaria” alle europee). Si apre dunque potenzialmente un'area piuttosto vasta nel centro e tra i moderati, a cominciare, come ha ammesso lo stesso Zingaretti, dai moderati ex Fi che non si riconoscono più nel centrodestra a trazione salviniana e dalla vasta area dell'astensione.

La fine della vocazione maggioritaria
Certo, Renzi e i suoi preferirebbero un Pd a vocazione maggioritaria. Ma c'è la presa d’atto di un sistema ridiventato proporzionale dopo la sconfitta referendaria di tre anni fa. Come fa notare il deputato renziano Luigi Marattin: o il Pd ritorna a proporre una riforma del sistema in senso maggioritario che potrebbe interessare anche alla Lega oppure tanto vale allargare il campo con nuove proposte politiche. Ad ogni modo Renzi, a differenza di Calenda, ha assunto il passo del maratoneta. Attende insomma l’evolversi del quadro politico generale, nella convinzione che una nuova proposta politica ha senso solo se lanciata a ridosso delle elezioni. E non è detto che l’ex leader sceglierà infine questa strada. Un centrosinistra rinnovato nelle proposte ha bisogno di un candidato premier che sia espressione del compromesso tra le varie liste. E a questo proposito non va dimenticata la profezia di qualche settimana fa dell'ex braccio destro di Renzi, Luca Lotti: Renzi potrebbe tornare in campo presentandosi alle future primarie di coalizione appunto come candidato premier.

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